1) Innanzitutto una domanda sul tema del convegno: gli anni
marburghesi di Heidegger. Possiede, secondo Lei, una certa unità
e compattezza, e dunque anche specificità, questo periodo
della produzione filosofica heideggeriana rispetto agli anni precedenti
e seguenti, oppure no?
Gli anni di Marburg, in cui matura la prima grande opera di
Heidegger, sono contrassegnati dallo spostamento dell’asse
della riflessione heideggeriana da Aristotele a Kant. Beninteso
il confronto col filosofo greco non venne meno, né allora,
né in seguito; tuttavia, come attestano i corsi delle lezioni,
è la filosofia trascendentale che domina la scena del pensiero
di Heidegger a Marburg e pur negli immediatamente successivi (cfr.
la Vorlesung dell’estate 1930, Vom Wesen der menschlichen
Freiheit, la cui prima parte è dedicata ad Aristotele e
la seconda alla filosofia morale di Kant, riguardo alla quale
v’è da rilevare una interessante revisione di giudizio
rispetto al Kantbuch del ‘29). Senza l’approfondita
riflessione sullo schematismo, sulla facoltà d’immaginazione,
sulla sensibilità non credo si possano comprendere i nodi
fondamentali della tematica di Sein und Zeit, e in particolare
l’inversione del principio su cui si regge l’intera
impalcatura concettuale della filosofia aristotelica: il proteron
energheia dynameos (Metaph., XII, 1072a, 9).
2) Il suo intervento, come si legge nel programma, verterà
sul rapporto tra Heidegger e Husserl. Heidegger non risparmia
neanche a lui la sua critica, accusandolo di muoversi sempre all’interno
di uno Standpunkt ontico. Secondo Lei, quali sono gli aspetti
più significativi della critica di Heidegger a Husserl?
Il rapporto Husserl-Heidegger ha molte facce, e non sempre Heidegger
è una guida attendibile. Non è accettabile, ad esempio,
la critica di teoreticismo e di soggettivismo che in più
luoghi e in tempi diversi egli muove a Husserl: l’”intenzionalità”
husserliana anticipa per molti aspetti il concetto dell’In-der-Welt-sein,
ovvero la “necessità” della relazione dell’uomo
al mondo (al mondo non all’ente soltanto). A mio avviso
la vera distanza tra i due filosofi riguarda – mi esprimo
volutamente in termini husserliani – non l’ego cogito,
ma l’”io posso”. È la differenza tra
l’epochè, ancora opera di un volere soggettivo, e
l’Angst, che disvela Dasein quale “nullo fondamento
di una nullità”, e cioè: non in potere di
se medesimo. Sul preteso ”idealismo” (“soggettivismo”,
“teoreticismo” …) delle Ideen, poi, si sono
addensati molti equivoci. Il punto vero della questione, come
dicevo prima, è l’epochè, in quanto opera
del volere – tesi che Heidegger non poteva accettare (tornerò
sul tema nella relazione).
3) Com’è possibile che Heidegger scinda il metodo
dai contenuti e dai risultati della fenomenologia senza perderla
del tutto ‘come fenomenologia’?
Per Heidegger la fenomenologia è una via (odos), e da
questo concetto non mi pare si sia mai allontanato. Al contrario
l’ha esteso: sempre la filosofia, o, se si preferisce, sempre
il pensiero, è odos, e la concezione del “metodo”
separato dai “contenuti” è proprio quanto di
meno fenomenologico (id est: filosofico) si possa pensare. Su
questo tema sarebbe interessante una approfondita riflessione
sul rapporto non solo di Heidegger con Hegel, sì anche
di Husserl con Hegel (ma è questione che travalica i confini
del Convegno).
4) Crede che in Essere e Tempo il metodo fenomenologico sia
in grado di reggere tutto ciò che in quest’opera
viene affermato? Non crede che gran parte delle tesi di Essere
e Tempo abbia carattere inferenziale ( l’ontologico come
condizione e fondamento dell’ontico) piuttosto che fenomenologico?
Il fatto che la dimensione ontologica si riveli in Essere e tempo
“condizione” (di possibilità, perché
di comprensione) di quella ontica non comporta affatto che Heidegger
derivi (“inferisca”) da quella questa. È vero
giusto il contrario: alla dimensione ontologica egli giunge attraverso
la “descrizione” della dimensione ontica. La fenomenologia
di Heidegger (e non meno quella di Husserl, e qui ancora il raffronto
con Hegel si rivela istruttivo) è un’opera di scavo.
È, in senso letterale, cata-strofica, si volge al basso,
al profondo: per portarlo alla luce. Das Ziel ist die Offenbarung
der Tiefe: la differenza riguarda ciò che s’intende
per “profondo”, non lo scopo, o meglio la “via”,
che è la medesima – ripeto: un’operazione di
scavo.
5) Lei ha assegnato, nei suoi saggi su Heidegger, un indiscutibile
primato ad Essere e Tempo, considerando quest’opera non
solo come idealmente ‘prima’ rispetto alla meditazione
heideggeriana sulla storia dell’essere ma addirittura come
un’opera del tutto ‘compiuta’ e come l’opera
‘più avanzata’ di Heidegger. Può spiegarci
che cosa intende?
Per farlo in modo soddisfacente dovrei rinviare al libro del
lontano 1976, Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità
(cinquecento pagine!). In questa sede debbo limitarmi a dare non
più che un indice degli argomenti, scusandomi per la perentorietà
delle affermazioni, dovuta alla concisione del discorso: a) Sein
und Zeit non è comprensibile se non sulla base di una già
realizzata “destruzione” (Destruktion) della storia
della metafisica. In questo senso è l’”ultima”
opera di Heidegger. b) È l’opera più “avanzata”
perché affronta la questione della “differenza ontologica”
come rapporto (Bezug) tra “nulla” ed “essere”
e non tra “essere” ed “ente”. E cioè
– per dire la cosa al modo in cui Heidegger la esporrà
anni dopo (cfr. Der Spruch desAnaximander) – Essere e tempo
si connette non al secondo inizio della metafisica occidentale
(Platone) ma al primo (Anassimandro). c) È un’opera
“compiuta” perché dopo la determinazione della
Nullità che è al fondo di esserci, e di essere,
non c’era altro da dire. La III sezione della I parte di
Essere e tempo manca perché è già tutta nella
II! Aggiungo: Sein und Zeit offre la più approfondita riflessione
di Heidegger sul tema del “possibile” e delle sue
modalità – e nel giudizio non dimentico i Beiträge
zur Philosophie (Vom Ereignis). |