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Cornelius Castoriadis
Intervista a Vincent Descombes
di Emanuele Profumi

Tra i filosofi più interessanti del panorama attuale, e recentemente nominato presidente dell’Association Castoriadis, incontriamo Vincent Descombes al margine del convegno che si è svolto a Parigi per il decennale della morte di Cornelius Castoriadis, a cui è intervenuto con una relazione dal titolo Sur la notion de pouvoir instituant. Con lui è possibile discutere dell’importanza dell’opera di questo filosofo senza cedere ad una facile quanto sterile celebrazione.  

A quali filosofi possiamo avvicinare Castoriadis ? Ci sono degli autori nella storia della filosofia le cui tesi contrastano quelle di Castoriadis ?

Innanzitutto va detto che non possiamo sostenere ciò che lo stesso Castoriadis ritiene della propria posizione, cioè che la sua filosofia resiste all’idea di costituire le proprie idee a partire da altri filosofi. Come quando dice che la sua idea di praxis non ha niente a che fare con quella aristotelica, o quando afferma che l’idea di immaginazione non sia mai stata menzionata prima di lui. Assumere questa posizione sarebbe un errore d’interpretazione. Penso proprio che, al contrario, Castoriadis abbia avuto una formazione che gli ha fatto assumere l’idealismo tedesco. Tuttavia non lo puo’ riconoscere né quando si trova a pensare all’interno dell’orizzonte marxista, né in seguito, quando cerca di mettere in discussione proprio l’hegelismo e il razionalismo. Nonostante questa posizione infatti la sua critica va situata nella stessa traiettoria dell’idealismo tedesco: svincolandosi dal marxismo Castoriadis ne accentua gli elementi filosofici, del resto sempre presenti, e la sua riflessione diviene a tutti gli effetti una combinazione tra Aristotele e l’idealismo tedesco. Anche la filosofia di Heidegger è presente. Benché non pensi affatto che fosse un heideggeriano, ritengo che ci sia molto di Heidegger in Castoriadis. Ha gli stessi punti di riferimento e i suoi problemi non sono solo contemporanei a quelli di Heidegger ma, quando si pone dinanzi all’impasse della tradizione filosofica, sono proprio gli stessi.

Eppure è esplicita l’opposizione che Castoriadis muove nei suoi confronti, tanto da raffigurarlo come la figura più emblematica di quello che chiama il pensiero ereditato.

Si, si. Ma…come dire? I giovani dell’epoca facevano dei corsi su Heidegger. Era come Merleau-Ponty. E’ un contemporaneo di cui si leggono le opere appena pubblicate. Per comprendere questa situazione va compreso il rapporto che si instaura tra la nuova generazione e la generazione che la precede, a questo faccio riferimento. Per Castoriadis quello di Heidegger è un pensiero vivente. Non è possibile capirlo con gli occhi di chi oggi considera Heidegger un classico. E’ un rapporto diretto quello che si instaurava all’epoca: ci si domandava “ci si appropria di questo pensiero o dobbiamo denunciare questa posizione piuttosto che quest’altra?”. Con i classici non si fa un lavoro di denuncia, ma si cerca prima di tutto di cogliere il loro portato.

 Nella vostra relazione Sur la notion de pouvoir instituant  avete parlato di una relazione tra Castoriadis, Montesquieu e Tocqueville sul piano della riflessione sulla società. Potreste spiegarci  perché ?

C’è qualcosa del tutto sorprendente in Castoriadis, che non troviamo in nessuno dei filosofi che gli sono vicini (come Lefort e Lyotard), ed è il fatto di conservare un senso acuto della socialità umana, dell’uomo come essere sociale. Per i marxisti degli anni cinquanta essere marxisti significava proprio avere scoperto il sociale, per fare fuoriuscire la storia da una visione borghese ed individuale. Castoriadis è molto più sottile, come si vede leggendo il suo testo su Marx e Aristotele [1] sulla giustizia. In Marx il fatto sociale è un’anomalia, un obbligo, qualcosa che deve scomparire, uno stato provvisorio che sarà superato quando si saranno sviluppati i mezzi di produzione, che faranno scomparire l’obbligo sociale permettendo di arrivare ad un individualismo generalizzato. Per questo possiamo dire che Castoriadis conserva un pensiero autenticamente sociologico (da intendere in senso alto). Non si accontenta dell’intersoggettività ma ritiene si debba cogliere la società, la totalità sociale. Montesquieu non è un riferimento principale per Castoriadis, che dice di desumere il proprio concetto di istituzione da Merleau-Ponty. Tuttavia in questo filosofo l’idea d’istituzione è quella di Husserl: costituzione della coscienza, di strati, di sedimentazione. Non ha niente a che fare con il diritto o la sociologia. E’ una questione di senso che per l’individuo diventa una questione di attitudine. Ciò non riguarda quindi l’istituzione, ma la correlazione tra l’individuo e l’istituzione. Percio’ ho sostenuto che se si vuole comprendere l’idea d’istituzione e il potere istituente di Castoriadis dobbiamo collocarlo lungo la linea dei pensatori dell’istituzione. Ecco perché Montesquieu puo’ divenire un riferimento diretto. In Montesquieu, infatti, si trova spesso l’idea che per comprendere la società non possiamo soffermarci esclusivamente sul diritto e sulla legislazione, ma va messo tutto nell’idea d’istituzione. Secondo Montesquieu, infatti, non si puo’ comprendre una legge particolare d’un popolo, per esempio una legge romana sulla tradizione, se non la si inserisce nelle insieme delle leggi di auesto popolo cosi’ da afferrare il senso di questa legge in funzione dello “spirito delle leggi”. Insomma lo spirito delle leggi vuol dire spirito delle istituzioni, dell’insieme delle istituzioni, poiché Montesquieu allarga la propria ricerca a tutte le abitudini collettive di questo popolo: non solamente alle leggi propriamente dette, opera del legislatore, ma ancora, come dice esplicitamente, ai costumi (nel senso latino di “mores”) e alle maniere (nel senso di forme di civiltà). Questo insieme di leggi;, di costumi e di maniere, Montesquieu lo raggruppa sotto il nome d’istituzione.

 Anche a questo proposito a me sembra che si possa parlare di pensiero olista in Castoriadis. Avendo affrontato direttamente il pensiero olista ne Les istitutions du sens [2], in cosa pensa si possa rintracciare, se si può fare, un pensiero olista in Castoriadis ? E quali eventuali critiche ritiene si possano muovere a questo pensiero?

Beh, in realtà non sono così critico nei confronti del suo olismo! Al contrario, mi appoggio sulla sua critica a qualsiasi visione atomizzante. Eventualmente, ma non è una critica, ci si sarebbe potuti augurare che Castoriadis avrebbe potuto spingere la propria riflessione più lontano di quanto abbia fatto. In realtà non possiamo neanche dare per scontato che Castoriadis, con la formazione che ha ricevuto, con gli interlocutori che ha avuto, i contesti intellettuali con cui si è confrontato, con tutto quel retroterra freudiano, sarebbe stato in grado, come invece è avvenuto, di mantenere una propria idea di totalità sociale. Basta soffermarsi sui dispositivi concettuali degli psicanalisti per comprenderlo. Nel farlo infatti verrebbe subito da dire loro: “ma non sognate vi prego, c’è una società e non è giusto non considerarla!”. Questo messaggio generalmente non passa. Non so se Castoriadis ha sempre avuto quest’idea, se e come prende corpo precocemente, ma secondo me viene portata da un grande interesse per la storia, una grande cultura storica, e allo stesso tempo dall’idea che esista una densità temporale, nel senso del cambiamento, dell’esistenza di mondi differenti, e quindi dall’idea che la storia è una realtà che non è facile comprendere, anzi… che è un prodigio proprio il fatto di comprenderla….perché la si comprende! Basti pensare alle sue riflessioni sulla Russia, che è una civiltà lontana. Trovo questo abbastanza toccante. E’ probabilmente cio’ che ha impedito a Castoriadis di sposare delle visioni più intersoggettive, benché le intendesse bene, e di porsi in contatto con la Arendt. Ma Castoriadis vuole fare uno sforzo in più. Non so se lei è sensibile a questo? Personalmente mi tocca molto. Un lettore di Castoriadis potrebbe dare per scontata questa posizione, ma in realtà non lo è affatto!

Sono d’accordo. Tra l’altro mi sembra che per capire Castoriadis si possa anche tracciare un legame con la Arendt, benché credo lui  sia andato oltre le sue riflessioni. Ritornando a noi. Ne Le complement du sujet [3] torna sull’idea di “per sé” di Castoriadis, potrebbe chiarirci in questa sede perché lo fa?

Esiste una tesi che non trovo molto forte, benché sia generalmente riconosciuta come eccellente, che dice che la soggettività, presa nel senso dei filosofi, non è solamente linguistica e che per questo esiste una finalità e un per sé. La finalità sarebbe nella vita. Esisterebbe una proto finalità generale cosi come esisterebbe una proto teleologia nella pianta. Tuttavia poiché la pianta non è un essere che si sposta è difficile parlare di finalità…. Al contrario per gli animali che ci sono vicini, come nei predatori, esiste un comportamento a cui si possono applicare tutte le categorie della soggettività: il successo, lo scacco, l’eccezione e l’errore. Ciò funziona molto bene….Quello che voglio dire è che se si vuole avere un’idea di soggettività c’è bisogno di una natur philosophie nel senso di Hegel o dell’idealismo tedesco (nel senso tradizionale). Una filosofia della natura che manca nelle versioni neokantiane dove sembrerebbe che le cose comincino con l’uomo. O presso Sartre. Ciò che penso in proposito è che il per sé non caratterizzi la coscienza di sé, in quanto essa è legata ad un lavoro linguistico, alla possibilità delle persone grammaticali, e cio’c’impedisce di dire che esso vi è contenuto risultando sin da subito presente in noi, come nel gatto, nel leone e negli animali. Bisogna riconoscere la doppia importanza di tutto questo discorso: prendere in considerazione il fenomeno del vivente e allo stesso tempo l’insufficienza delle filosofie del soggetto che lo legano all’essere per sé. Si potrebbe dire che il soggetto è un essere per sé, ma se si dicesse che anche il gatto è un soggetto non si potrebbe però ad esempio ricavare la filosofia del diritto dal concetto di per sé.

Restiamo sul terreno del diritto. Castoriadis riteneva che la propria originalità consistesse nell’aver intrecciato ciò che è di fatto e ciò che è di diritto, non a caso ha utilizzato la partizione tra fatto e da fare. Secondo lei è proprio questa l’originalità di Castoriadis ? Cosa pensa della relazione tra fatto e diritto ?

Riconosco il problema ma non saprei dire se Castoriadis prenda una posizione di questo tipo. A cosa vi riferite precisamente?

Nei seminari oggi raccolti nel volume Sujet et vérité dans le monde social-historique [4] troviamo chiaramente espressa questa considerazione e questo tipo di intreccio.    

C’è qualcosa di molto giusto in ciò che Castoriadis chiama intreccio quando si riferisce al linguaggio. Ciò ci porta a dire che esiste una prima distinzione da riconoscere tra gli stati di fatto e gli stati di diritto che consiste nel guardare se lo stato di fatto è conforme o meno alle norme locali. Per Castoriadis, una volta fatta questa distinzione, possiamo prendere in considerazione il giudizio normativo e il fatto che l’insieme di queste distinzioni si trovi nel dominio descrittivo. A questo proposito va detto che la filosofia del diritto ha rifiutato subito la partizione tra una posizione semplicista e una radicale: non si può descrivere il diritto come uno stato normativo. Secondo me quello che preoccupa la filosofia del diritto è la possibilità di formulare una descrizione sia dall’interno che dall’esterno: se sono un antropologo posso descrivere le norme locali, senza dire se siano buone o cattive. Semplicemente le descrivo. Ciò che vuole dire Castroriadis è che viviamo generalmente in una normatività comune e questo richiede un’autoriflessione e una presa di distanza nei confronti dell’esistente. La sua critica è quella di porre la questione del diritto sul diritto esistente, il diritto del fatto. Credo sia questo che ponga all’attenzione: quando ci si dice “Questa è la norma!”, non si è ancora posta la questione sulla norma ed è invece proprio a questo punto che comincia la difficoltà. Quando ci si pronuncia sulla norma senza poter dare corso ad un’altra norma e si resta prigionieri della descrizione. Questo problema è proprio alla filosofia del diritto, è una discussione post kelseniana che trova secondo me una propria soluzione quando viene detto che le leggi sono valide se conformi ad una procedura corretta a decretarle e a stabilirle. Se si prendesse l’immagine dell’antropologo che è più abituale presso i filosofi del diritto organici si capirebbe il problema che ancora pero’ resta irrisolto: bisogna che abiti le norme? Oppure bisogna, se non sono d’accordo con qualche norma e sono parte del gruppo, che trovi i mezzi per contestarle dall’interno? E’ proprio cio’ che troviamo quando inizia la politica nel senso che Castoriadis dà a questo termine.

Su questo terreno credo che si possa dire che l’intreccio in Castoriadis è presente anche nell’idea di creazione del progetto d’autonomia: l’autonomia nasce nella storia come qualcosa che ha posto il problema del diritto e che ha tracciato il proprio percorso. Cosa ne pensate dell’idea di progetto d’autonomia?

Ma voi mi state chiedendo cosa penso di Castoriadis! Quest’idea riassume l’interpretazione dell’insieme del suo progetto…(ridiamo) ….

E’ vero, ma Castoriadis ha anche definito questo progetto a livello della filosofia politica: ha ricostruito il suo percorso attraverso la storia e ha finito per legarlo ad una visione critica della società contemporanea. E’ un complesso d’idee quello che vi si ritrova sintetizzato!

Dunque la questione più semplicemente potrebbe essere: cosa pensate della genealogia di questo progetto? In questo caso sono colpito dal suo carattere incompleto, se si pensa alla storia della filosofia e dell’occidente. Basti considerare Platone, che mette l’accento sulla politica e su tutto ciò che permette di avanzare una distinzione di ragione tra il cittadino e il filosofo. Se poi si pensa ad Hegel ci rendiamo conto che c’è qualcosa nella filosofia della storia che comunque fa avanzare l’autonomia moderna, ed è la storia di Dio. Esistono inoltre degli importanti avvenimenti, come il Cristo, la riforma, l’illuminismo…. dove sono tutti i conflitti che nascono in relazione a questi avvenimenti in Castoriadis ? Dove sono i conflitti sulla libertà cosciente ? Per Castoriadis non sarebbe stato questo il problema, ma la maniera attraverso cui egli comprende l’età moderna non può essere interpretata come il risorgimento di qualcosa che era nascosto e che riappare. In questo vedo mancare qualcosa d’importante. Castoriadis non si pronuncia sugli avvenimenti che occupano un posto di primo piano in tutte le filosofie tedesche e non riesco a spiegarmi perché cio’ avvenga. Non ho alcuna spiegazione. Costato che Castoriadis ha una tendenza a pensare che la storia politica dell’autonomia costituisca il senso moderno dell’autonomia. Se questo è vero allora avrebbe dovuto dire che la storia politica dell’autonomia ci dà il vero senso dell’autonomia, e sarebbe stato necessario combattere quelle che potrebbero essere interpretare da questo punto di vista come delle “letture illusorie dell’autonomia”. Ma cio’ non avviene. Quel che è certo è che il senso moderno dell’autonomia non è una semplice rinascita dell’autonomia greca. Ciò che fa la differenza viene veicolato dal religioso. Ma queste questioni sarebbero da porre più a Gauchet che a me, perché sono un po’ i temi che ha trattato lui.

Cosa pensate dell’idea castoriadisiana della crescita dell’insignificanza, idea che, senza dubbio, costituisce una deli cardini nell’analisi della società contemporanea ?

Non è un’idea che mi sorprende perché era già presente nella critica alla società dei consumi del giovane Castoriadis. Secondo me Cornelius ha approfondito la propria elaborazione della società dei consumi all’interno della storia dell’alienazione: il sistema inganna le persone dando loro ogni soddisfazione e li svuota…è un’illusione. Non è un complotto ma esiste una funzione oggettiva del consumo che renderebbe dementi le persone impedendo in generale che si sviluppi qualsiasi possibilità per la politica. Penso che questo non sia falso, ma lo trovo un po’ limitato perché ciò significherebbe che le persone sarebbero tutte manipolate, cosa che in realtà non avviene. Benché la manipolazione sia un fenomeno a cui va riconosciuta una propria realtà. Castoriadis ha approfondito la critica quando ha spiegato che la crescita dell’insignificanza è allo stesso tempo la crescita di una catastrofe perché è l’edificazione di un sistema fondato su dei valori insignificanti che non può funzionare. Il capitalismo era dinamico quando era il sistema degli imprenditori, il capitalismo finanziario invece non è più dinamico e va verso la catastrofe poiché non riesce a riprodurre nessun tipo antropologico necessario alla trasmissione umana e culturale. Castoriadis non dice che non c’è più cultura ma che c’è una sorta di dottrina ufficiale secondo la quale la cultura non avrebbe più spazio. Le persone potrebbero dire: “Ah, ma Castoriadis è un reazionario!”. E’ proprio questo non a caso che faceva arrabbiare molte persone. A questo proposito possiamo addirittura parlare d’ emancipazione. Ma se l’emancipazione vuol dire essere emancipati dalle necessità di lavorare per imparare delle cose ci renderemmo conto chiaramente della tendenza che sta distruggendo quelli che Castoriadis chiama i tipi antropologici,  che sono gli ideali e le figure da trasmettere nel tempo. Può darsi che Castoriadis esageri nel parlare di insignificanza, può darsi che non sia vero che questo accada. Ciò che certamente è vero è che tutti coloro che veicolano la cultura non sono più onorati, nel senso che questo termine ha nell’antichità greca. Onorare dei conduttori televisivi non è la stessa cosa di onorare dei dissacratori o degli artisti. E’ questo che l’aveva colpito. Penso che sia questo che vada preso in considerazione in Castoriadis piuttosto che le sue considerazioni sulla letteratura. Fermarvisi c’impedisce di cogliere il punto importante: la trasmissione della cultura non significa trasmissione immediata ma la disciplina necessaria ad offrire delle cose che rendano possibile unire le persone su qualcosa che ritengano valga la pena fare esistere. Castoriadis è colpito dal fatto che è venuto meno il principio che nella vita bisogna apprendere tutto e fare tutto: quello che viene a mancare sono le cose fondamentali che permettono alla società di perpetuarsi.

In un vostro articolo [5] avete affermato che Castoriadis ha portato un rinnovamento in ambito politico e scientifico. Potete spiegarci ancora perché ?

Ciò che penso è che abbia rinnovato piuttosto il versante scientifico. Castoriadis è tutto tranne che uno scientista. Ciò che all’epoca ho scritto è che la filosofia con Heidegger ritiene che la scienza sia ormai priva di pensiero e che da questa non ci sia più nulla da apprendere. Ecco anche perché la filosofia sarebbe finita. Al contrario Castoriadis rivendica l’importanza di fare filosofia e di affrontare filosoficamente tutti i problemi umani. Appoggiandosi sui classici pone dei problemi piuttosto che fare del semplice commento. Sostiene che la filosofia non sia affatto finita e che le questioni filosofiche pervadano anche il dominio della scienza. Castoriadis passava tutto il tempo che poteva a seguire le controversie in fisica, biologia, informatica, e in altri diversi campi scientifici, dimostrando di avere una mentalità filosofica poco comune (a parte quella che troviamo nei filosofi della scienza). Ci sono alcuni che hanno tentato delle sintesi, come Morin, ma il progetto è ben diverso. Castoriadis non crede alla fine della filosofia perché considera a giusto titolo che un minimo d’interesse per lo stato delle scienze sia necessario: dietro l’apparato tecnico c’è ancora della scienza, in quanto ricerca, con i suoi problemi fondamentali relativi, per esempio, alla causalità, alla definizione degli ordini plurali, alla complessità. Poiché si pongono ancora delle domande filosofiche in questi ambiti chi ritiene che la filosofia sia finita è a tutti gli effetti un pigro. Gli scienziati avanzano dei problemi filosofici. Castoriadis si rivolge agli scienziati armato della filosofia greca e tedesca per sostenere che la scienza stessa debba trovare le proprie radici nella filosofia.

 

Note:

[1] Valore, uguaglianza, giustizia, politica: da Marx ad Aristotele e da Aristotele a noi, in C. Castoriadis, Gli incroci del labirinto, Hopefulmonster, Firenze 1988, pp. 247-311.

[2] Vincent Descombes, Les institutions du sens, Ed. du Minuit, Paris 1996.

[3] Vincent Descombes, Le complément du sujet. Enquête sur le fait d’agir de soi-même., Ed.Gallimard, Paris 2004.

[4] Cornelius Castoriadis, Sujet et vérité dans le monde social-historique, Ed. Seuil, Paris 2002.

[5] Vincent Descombes, Un renouveau philosphique, in AA. VV., Autonomie et autotransformation de la société. La philosophie de Cornelius Castoriadis, Librairie Droz, Genève 1989, pp. 69-86. 

PUBBLICATO IL : 29-12-2007
@ SCRIVI A Emanuele Profumi
 
Tema
Cornelius Castoriadis
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