Lo studio di H. Pringe affronta con straordinaria chiarezza uno dei nodi più problematici che riguardano il confronto tra la filosofia trascendentale di Kant e la fisica teorica. In particolare l’autore vuole determinare la relazione tra la filosofia trascendentale e la teoria dei quanti, avanzando la scommessa della fondazione di una metafisica dei quanti, che poggi preliminarmente su una propedeutica. Quest’ultima non corrisponde ad altro che ad una Critica della facoltà di giudizio applicata alla fisica quantistica. Pringe si propone con questo libro: 1) di costituire precisamente una propedeutica al futuro sistema della metafisica quantistica, 2) di rispondere sistematicamente alla necessità di una fondazione del modo in cui il formalismo matematico della teoria dei quanti possa acquisire un riferimento fisico, 3) di fornire in ultima analisi uno statuto di realtà necessaria ed effettiva agli oggetti della fisica quantistica, considerandoli secondo un principio regolativo. Come l’autore stesso afferma: “Quantum metaphysics is possible in this weaker sense and therefore it is a task of transcendental analysis to be accomplished in the future. This critique is nevertheless its propedeutics” (p. 195). L’accezione della metafisica della teoria quantistica è intesa da Pringe in un “weaker sense”, a causa della sua fondazione su principi trascendentali regolativi. In realtà, è forse una delle maggiori conquiste ottenute da Kant nella terza Critica, quella di stabilire uno statuto differente, ma correlato, dei principi costitutivi e di quelli regolativi. Non occorre considerare deboli i principi regolativi, quanto piuttosto attribuire ad essi una differente capacità fondativa e di ricomprensione dell’empirico, che non sarebbe possibile attraverso i soli principi costitutivi.
Il punto di partenza di Pringe si configura come un tentativo di creare un parallelo tra la filosofia di Kant e l’interpretazione della teoria dei quanti di Bohr. Grazie al confronto con le interpretazioni sull’argomento (tra cui quelle di Chevalley, Falkenburg, Held, Hooker, Kaiser), Pringe sostiene la necessità di considerare il confronto tra Bohr e Kant comprendendo l’importanza sistematica della Critica della facoltà di giudizio. Come sottolinea l’autore, la gran parte degli interpreti si è concentrata sulla Critica della ragione pura – eccettuato il caso degli studi condotti dalla Chevalley - per avviare un confronto con la teoria dei quanti, trascurando l’importanza di due elementi fondamentali per questo scopo: l’analogia e il simbolo. Secondo la tesi della Chevalley, con cui Pringe concorda, Bohr non avrebbe fatto altro che introdurre e trattare il concetto di simbolo a partire da un framework kantiano.
Proprio al concetto di simbolo e a quello di analogia è dedicata la prima parte del libro (“Kantian Preliminaries”) in cui è preponderante la trattazione delle analogie simboliche. In questo contesto Pringe propone un’argomentazione secondo la quale il simbolismo è in grado di esibire indirettamente un concetto nell’intuizione, sebbene attraverso il simbolo non si sia in grado di rappresentare nient’altro che relazioni tra oggetto simbolizzato e ciò che è dato nell’intuizione. Queste relazioni, infine, conducono all’unità sistematica nella conoscenza di ciò che è dato nell’intuizione in generale e in alcuni particolari prodotti naturali.
Questa argomentazione apre alla trattazione della seconda parte, ovvero al riconoscimento della peculiarità della conoscenza del dominio dei quanti, la quale consiste in un carattere meramente regolativo della rappresentazione degli oggetti quantici. Su questa base Pringe traccia l’andamento concettuale dell’interpretazione della teoria dei quanti che Bohr elaborò. In primo luogo Pringe tratta la nozione di corrispondenza, che Bohr individuò tra il 1913 e il 1924, come concetto chiave da connettere al problema epistemologico del riferimento oggettivo delle rappresentazioni formali. Secondo Pringe, Bohr avrebbe rintracciato nel concetto di analogia la chiave per la connessione di questo problema epistemologico e la relazione di corrispondenza tra la teoria dei quanti e l’elettrodinamica classica. In particolare l’autore sostiene che le tre assunzioni, che sottendono al principio di corrispondenza tra leggi classiche e quantistiche, sono da ricondursi ai principi logici kantiani della continuità, dell’omogeneità e della specificazione e alle massime della capacità di giudizio: “Firstly, that there is an affinity between classical and quantum laws such that knowledge of the former may provide clues to discovering the latter. Secondly, there is the claim that quantum laws are rational generalizations of classical laws so that, thirdly, the latter may be regained in a certain limit” (p. 71). Secondo Pringe, Bohr avrebbe stabilito che, nonostante le loro intrinseche differenze, le teorie classiche e quella quantistica potrebbero essere connesse attraverso un passaggio graduale che permette una generalizzazione della fisica classica nel dominio degli atomi come un accordo asintotico delle leggi quantiche e classiche. Questo sarebbe possibile laddove il quanto dell’azione sparisca (p. 72), ovvero dove non si proceda nell’esperienza per intuizioni empiriche, bensì indirettamente nell’intuizione, mediante una generalizzazione dell’empirico. Del problema dell’unificazione di leggi fisiche e del graduale assorbimento dell’empirico, Kant si era occupato nella Critica della facoltà di giudizio. Tuttavia, è negli appunti postumi del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica che Kant perfeziona e inserisce nell’ambito di una fondazione trascendentale e metafisica (in senso critico) la possibilità della fisica come scienza. Pringe non prende in considerazione l’ultima produzione kantiana che fornirebbe molti spunti e argomenti per la sua posizione.
In secondo luogo Pringe affronta la teoria BKS (Bohr-Kramer-Slater) del 1924. I tentativi di Bohr di stabilire analogie con cui il movimento degli elettroni doveva essere pensato come rappresentabile nell’intuizione, furono vani, poiché queste analogie rimasero sempre formali, vale a dire non poterono avvalersi di una descrizione spazio-temporale e causale del meccanismo che connettesse il movimento degli elettroni e le radiazioni. Di fronte alle difficoltà poste dalla teoria del 1924, Pringe rileva come Bohr sia stato costretto a riconoscere l’impossibilità di includere oggetti quantici in analogie dell’esperienza (in termini kantiani), e a ricorrere ad analogie simboliche per una corretta interpretazione del formalismo della teoria dei quanti. A partire dal risultato di incompatibilità tra descrizioni spazio-temporali e connessioni causali di processi individuali, Pringe ricostruisce il percorso che spinse Bohr ad assumere la nozione di complementarietà a principio per la comprensione sistematica della teoria quantistica e a concepire solamente una possibile rappresentazione simbolica, in senso stretto kantiana, degli oggetti quantici. La regola di questo simbolismo conduce al problema della complementarietà e delle relazioni incerte, ovvero quelle empiriche, che fornirebbero, in ultima analisi, il contenuto alla meccanica ondulatoria, grazie e secondo il principio di complementarietà. Pringe riconosce in questo modo una doppia determinazione della conoscenza simbolica in Bohr, una in senso largo e una in senso stretto. La seconda sarebbe corrispondente a quella kantiana, e la prima trarrebbe in ogni caso un’origine dal kantismo. Così la conoscenza atomica è simbolica sia perché non è in nessun modo copia della realtà trascendentale, sia perché noi facciamo un uso dei concetti classici e delle immagini per rappresentare oggetti quantici, procedendo nell’intuizione solo indirettamente. Il senso profondo di questa doppia determinazione svelerebbe il rigetto da parte di Bohr di una visione secondo cui i nostri concetti sarebbero riferiti ad una realtà in se stessa, rispettando la dottrina kantiana dell’idealismo trascendentale e della distinzione ineliminabile tra sensibilità ed intelletto.
Nella terza ed ultima parte l’autore tenta una fondazione trascendentale dell’oggettività quantistica, procedendo ad una lucida ricomprensione di essa attraverso principi ed elementi propri della filosofia trascendentale, come il principio di determinabilità e quello di determinazione completa, la considerazione logico-trascendentale del giudizio infinito e il concetto di conformità a scopi. Pringe arriva a concludere che “the transcendental deduction of quantum objectivity has a structure similar to the transcendental deduction of the ideas of reason: quantum objects, as entities beyond the limits of possible experience, are only objects in the idea enabling the application of the formal principle of sistematicity” (p. 194). Il carattere regolativo delle idee di ragione (la loro validità oggettiva indeterminata) può essere provato completamente a priori, mentre nel caso di un oggetto quantico deve essere assunto un elemento empirico e contingente, quello del quanto d’azione. In questo senso il concetto di un oggetto quantico ha lo stesso statuto trascendentale di uno scopo naturale, di un che di contingente, ma allo stesso tempo necessario, e come tale si presenta in qualità di sistema che è oggetto: gli oggetti quantici sono particolari sistemi di natura poiché il concetto di oggetto quantico implica l’unità sistematica di un certo molteplice di cognizioni empiriche, nonché una rappresentazione del rapporto tutto-parti, in cui lo stato dell’oggetto determina la probabilità delle sue parti contestuali: in questo senso un oggetto quantico può essere definito, secondo un approccio trascendentale, un prodotto intenzionale della natura in termini kantiani e la metafisica quantica assumerebbe per l’autore la forma di una metafisica di oggetti regolativi. E’ questo lo scopo primario e indispensabile della Critique of the Quantum Power of Judgment in vista dell’unificazione di teorie fisiche e per il corretto inserimento della teoria dei quanti nel quadro sistematico della fisica teorica. |