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Dimitri Gutas, Avicenna e la tradizione aristotelica.
Edizioni di Pagina, 2007

di Alessandro Pertosa

Dimitri Gutas, autore del volume Avicenna and the Aristotelian Tradition. Introduction to Reading Avicenna’s Philosophical Works (Brill, 1988), è senza dubbio uno fra i più dotti e raffinati studiosi contemporanei del filosofo arabo Ibn Sīnā, meglio conosciuto in Occidente con il nome di Avicenna (ca. 980-1037). Rispetto alla prima edizione inglese del 1988 divisa in tre sezioni, la versione italiana – a cura di  Marienza Benedetto, pubblicata nel 2007 da Edizioni di Pagina (biblioteca filosofica di Quaestio) –  si vede arricchita da un’Appendice che raccoglie tre importantissimi articoli nei quali lo stesso autore approfondisce alcune questioni sfiorate, ma non adeguatamente risolte, nel testo. E nel primo articolo dell’Appendice (A1), Dimitri Gutas descrive accuratamente, all’interno dell’epistemologia avicenniana, il passaggio «da una versione per così dire ‘standard’ della teoria dell’intuizione ad un’altra ‘rivisitata’» (p. ix); nel secondo e nel terzo articolo (A2) (A3), egli ricostruisce invece la storia della storiografia, all’interno della quale si è sviluppata quella lettura che, per dirla con Marienza Benedetto «ha portato a identificare la filosofia dell’Est di Avicenna con una non meglio precisata filosofia ‘orientale’ dai tratti illuminazionisti e misticheggianti» (p. ix).
L’edizione italiana è infine corredata da una corposissima bibliografia e da indici abbondanti e ben curati.

Dal punto di vista strutturale il saggio si presenta diviso in tre ampie sezioni (ripartite a loro volta in capitoli e paragrafi) all’interno delle quali l’autore, descrivendo il complesso lavoro di ricostruzione e recupero della tradizione aristotelica operato da Avicenna, conduce per mano il lettore fino a mostrargli la cifra essenziale di un pensiero che inaugura una fase nuova nel panorama filosofico arabo e occidentale. Infatti, dopo Avicenna molto dell’aristotelismo diventa avicennismo, e l’influenza che il filosofo arabo eserciterà sul medioevo cristiano determinerà, nel xiii e nel xiv secolo, un nuovo modo di pensare la filosofia greca e di rapportarsi ad essa.
Nella prima parte del saggio, Gutas concentra la sua attenzione sui documenti che si riferiscono agli scritti avicenniani e concernenti il loro rapporto con la tradizione aristotelica. Nella seconda sezione l’autore si sofferma a descrivere la formazione intellettuale di Avicenna, valutando, di volta in volta, l’influenza esercitata sul suo curriculum studiorum proprio da Aristotele. Infine nella terza parte del saggio, egli mostra in che modo lo stesso Avicenna supera alcuni punti di conflitto con lo Stagirita integrandone la filosofia, e dando così vita ad un pensiero autonomo rispetto alla tradizione aristotelica, seppur ad essa sicuramente debitore.
Il volume che, per sommi capi, abbiamo qui presentato contribuisce in maniera decisiva a riordinare il sostanzioso corpus documentale disponibile sulla figura di Avicenna, e a nostro avviso rappresenta la più completa introduzione storico-filosofica al suo pensiero. Siamo inoltre convinti che questo lavoro, oltre ad offrire degli spunti di partenza interessanti per futuri studi, vada anche a colmare una serie di insufficienze, di inesattezze e di pregiudizi sorti in passato proprio attorno alla figura di Avicenna; errori, questi, che per certi versi hanno offuscato l’immagine di un pensatore originale ed organico quale egli è stato, ed è, e hanno dato vita, in alcuni casi, a dei fraintendimenti protrattisi fino ad oggi. A tal proposito si pensi al qui pro quo in cui è caduto un consistente gruppo di studiosi, che pensò di aver scovato nel pensiero di Avicenna un doppio livello teoretico, ipotizzando quindi che al di sopra della sua dottrina pubblica ed essoterica ve ne fosse un’altra nascosta, mistica e più profonda; insomma una filosofia esoterica ed esclusiva, riservata ad un’élite di soli dotti, che sarebbe stata rappresentativa del suo autentico pensiero. E per questo Gutas nota come fino al xx secolo sia stata viva quell’illusione a causa della quale si pretese di elevare Avicenna al rango di maestro dell’illuminazione mistica e della gnosi (irfān) esoterica; errore di valutazione e di pensiero – questo – che ha dato origine in realtà ad una immagine contraffatta e inadeguata del filosofo arabo. Pertanto, seguendo il ragionamento espresso dall’autore in Avicenna e la tradizione aristotelica,la fonte dell’inganno protrattosi sino ad oggi è da rintracciare in chi ha identificato la «filosofia dell’Est» di Avicenna con una sorta di filosofia spirituale e orientaleggiante.
Dimitri Gutas, dal canto suo, attraverso la pubblicazione e il commento degli stessi testi avicenniani, supera questo errore di comprensione tentando di ricostruire, passo dopo passo, l’intera formazione umana ed intellettuale del filosofo arabo. Dal punto di vista metodologico il suo lavoro consiste nel porre l’opera avicenniana in un continuo e costante confronto-rinvio al corpus aristotelico. E così, nella prima parte del saggio, l’autore analizza con puntualità alcuni passi dei testi scritti dallo stesso Ibn Sīnā; dedica un ampio spazio all’Autobiografia, definita da lui stesso «un testo sorprendente» (p. 30), e pone all’attenzione del lettore alcune opere redatte dai discepoli del filosofo arabo, i quali oltre ad offrire informazioni preziosissime sui libri e sul metodo filosofico del loro maestro, forniscono anche delle utilissime descrizioni di Avicenna come filosofo e insegnante. I risultati conseguiti in questa prima sezione del lavoro consentono a Gutas di cogliere le analogie e le differenze fra gli insegnamenti di Aristotele e quelli di Avicenna, fino a mostrare le novità apportate al pensiero greco proprio dal filosofo arabo, il quale non si limita a ripetere e commentare dottrine altrui, bensì sviluppa una personalissima teoria filosofica, seppur per ampi tratti debitrice e collegata alla tradizione aristotelica.
Ancor più interessante si dimostra la seconda sezione del saggio, che come si è già accennato è incentrata sulla ricezione del pensiero aristotelico da parte di Avicenna, e in particolare modo su ciò che lo stesso Avicenna ritenne di dover realmente salvare dello Stagirita, nonché su come egli affermò di averlo fatto. Si tratta quindi di scovare non solo l’inevitabile influenza che il pensiero aristotelico esercitò nei confronti della filosofia avicenniana, ma anche – e soprattutto – di capire come e perché il filosofo arabo abbia accettato solo in parte l’insegnamento di Aristotele, superandolo e modificandolo sensibilmente quando né avvertì l’esigenza. E così sembra del tutto ovvio che a tal proposito la discussione si fondi ancora una volta su un documento decisivo per un’analisi storico-evolutiva della filosofia avicenniana, quale è l’Autobiografia. Questo documento si presenta ai nostri occhi come una trascrizione di un moderno curriculum studiorum, che Gutas distinguein quattro periodi: istruzione elementare, secondaria, superiore e universitaria. Ma si comprende subito che per l’autore di questo saggio le parole di Avicenna su se stesso non sono del tutto attendibili, né tantomeno sembrano sufficienti a farci comprendere come si sia effettivamente svolto il corso dei suoi studi. Si tratterà dunque di capire se Avicenna abbia davvero affrontato un curriculum così schematico, e se abbia realmente studiato le materie proprio nell’ordine in cui dice di averlo fatto, o se invece egli, disinteressandosi dell’aspetto storico-temporale, abbia scritto solo «un’autobiografia stilizzata in cui la cronologia degli eventi è piegata alla classificazione teoretica delle scienze» (p. 209).
Gutas non risolve del tutto la questione, anche perché in mancanza di dati esterni certi è davvero impossibile fornire una lettura ultimativa in tal senso. Ad ogni modo riteniamo giusta la sua considerazione secondo la quale la difficoltà di individuare un migliore approccio allo studio di Avicenna non potrà scomparire definitivamente se prima non si risolverà il problema della sistemazione e collocazione del filosofo arabo rispetto al pensiero di Aristotele. Nell’affrontare questo ostacolo, egli ritiene inoltre che non si debba ignorare che l’Aristotele conosciuto da noi è assai diverso da quello della tradizione aristotelica nota ad Avicenna. Di Aristotele, infatti, «Avicenna aveva in qualche modo di più e di meno rispetto a noi: egli disponeva di traduzioni arabe spesso incomplete e difettose, mentre noi abbiamo l’originale greco; diversamente da noi, però, aveva accesso a numerosi commenti della tradizione peripatetica, molti dei quali non ci sono pervenuti; e – cosa più importante – era erede di una comprensione e di un’analisi tradizionale di Aristotele che è estranea alle nostre tendenze sia filologiche che filosofiche» (p.11). Elementi, questi, di cui un interprete contemporaneo deve necessariamente tenere conto.
Nella terza ed ultima sezione, infine, Gutas si concentra sulle reazioni di Avicenna alla tradizione aristotelica da lui stesso ricevuta, e il discorso a questo punto si complica ancor più, perché l’intera dottrina di Aristotele, come si è visto, era stata recepita dal pensatore arabo non in maniera omogenea, in quanto oltre alla trattazione problematica derivante dalle difficoltà insite nella stessa filosofia dello Stagirita, alcuni problemi di ordine teoretico dipendevano direttamente da generazioni di commentatori, greci ed arabi, che avevano compromesso in profondità gli intendimenti di alcuni passi aristotelici. Queste contraddizioni hanno rappresentato per Avicenna dei conflitti da risolvere attraverso un reale superamento di quella stessa tradizione. Una tale operazione determinò non solo l’indipendenza della filosofia di Avicenna dal pensiero dello Stagirita, bensì implicò soprattutto un’inevitabile evoluzione interna alla sua stessa dottrina così organizzata nel tentativo, senz’altro non vano, di evitarle l’iscrizione al numerosissimo club delle filosofie epigonali. Va da sé che per noi questo elemento di novità presentatoci da Gutas acquisisce un’importanza fondamentale, in quanto è finalizzato ad una lettura d’insieme, coerente ed organica, dei libri scritti dal filosofo arabo.
Perciò, se è vero, come è vero, che il pensiero dello Stagirita, da un lato, condiziona profondamente l’intero impianto teoretico di Avicenna, riteniamo sia doveroso notare con Gutas che, dall’altro, i testi avicenniani non possono essere considerati alla stregua di un semplice commento ad Aristotele. Pertanto, se è giusto ritenere che, ad esempio, la Metafisica scritta dal filosofo arabo sarebbe del tutto incomprensibile al di fuori dell’eredità aristotelica, è altrettanto necessario constatare che in Avicenna vi sono degli elementi di profonda novità rispetto alla medesima dottrina dello Stagirita; e ciò trova ancor più la sua ragion d’essere se – come già accennato – si considera che lo stesso filosofo arabo si è sempre ritenuto un pensatore originale e non un mero ripetitore di filosofie altrui. A nostro parere Gutas rileva giustamente che la Metafisica avicenniana è per prima cosa un’opera del tutto autonoma dalla tradizione aristotelica precedente, in quanto la dottrina espressa in quel testo assume caratteristiche nuove e sistematiche non pienamente riconducibili ad autori del passato.

Infine Gutas ha impreziosito questo saggio, già così denso e affascinante, di alcuni notevoli passi della letteratura collegata al pensiero di Avicenna. L’autore, per questa via, ha voluto fornire al lettore gli strumenti adeguati a comprendere il contesto intellettuale della filosofia araba all’interno della quale si è mosso lo stesso Avicenna; perché, come nota ancora giustamente Dimitri Gutas, se è vero che Avicenna gode di una posizione preminente all’interno della storia del pensiero umano, è anche altrettanto vero che la grandezza della sua opera si può cogliere meglio attingendo proprio al suo patrimonio culturale ed educativo, che ricevette dall’ambiente familiare e sociale in cui visse e maturò.
PUBBLICATO IL : 25-10-2009
@ SCRIVI A Alessandro Pertosa
 

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