I due volumi oggetto di questa recensione – Fulvio Carmagnola, Abbagliati e confusi. Una discussione sull’etica delle immagini (Marinotti 2010) e Georges Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza (Bollati Boringhieri 2010) – costituiscono un interessante scorcio sulla riflessione più recente, italiana e straniera, a proposito delle immagini.
Si tratta, in entrambi i casi, di comprendere il significato etico o politico – ammesso che etica e politica possano essere completamente separate in questo ambito – delle immagini, o dell’uso che noi facciamo delle immagini. Questa distinzione – funzione etica o politica delle immagino o dell’uso che noi facciamo delle immagini ci permetto di entrare subito in medias res. Carmagnola esclude, infatti, che possano essere le immagini in quanto tali a svolgere un ruolo del genere nella nostra esperienza e che dobbiamo piuttosto rivolgerci all’insieme di pratiche e manipolazioni con cui noi consumiamo, trasformiamo e diffondiamo le immagini.
Il paradigma a cui si richiama Carmagnola per costruire il suo discorso è desunto dalle teorie del francese Jacques Lacan, teorico influente e controverso di un approccio eterodossamente freudiano alla psicanalisi, mediate dalla lettura che ne dà il filosofo sloveno (ma molto francese dal punto di vista dei referenti culturali) Slavoj Zizek. Lungo questa linea – in cui prospettive individuali e collettive, psicanalisi e marxismo si incrociano – è assai facile per Carmagnola stabilire i presupposti, del tutto convincenti, per la sua analisi dei modi e mezzi della circolazione delle immagini: in una parola, il mondo delle immagini, che tende a divenire sempre più il mondo, ossia il luogo di accesso e ricomposizione dell’esperienza.
Il libro di Carmagnola viene a costituire così un nuovo strumento di analisi e indagine dei fenomeni contemporanei legati all’immagine e ci offre un’efficace ricognizione dello stato dell’arte attuale. Resta, agli occhi di chi scrive, un interrogativo sull’ipotesi di fondo del lavoro di Carmagnola: è possibile separare completamente la considerazione sul valore etico o politico delle immagini da qualsiasi considerazione a proposito del momento produttivo delle immagini stesse? E più radicalmente: è possibile distinguere in modo netto, come Carmagnola implicitamente fa, un uso delle immagini dal momento della loro produzione? Ritengo che, proprio per la radicalità e la chiarezza delle tesi, questo libro può offrire al lettore gli strumenti per formarsi le proprie idee sull’argomento, corrispondano o meno con quelle dell’autore.
Il libro di Georges Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza (Bollati Boringhieri 2010), si colloca per certi versi agli antipodi rispetto alle posizioni di Carmagnola. Storico dell’arte ‘filosofico’ e iconologo ‘warburghiano’, Didi-Huberman non può non interrogarsi innanzitutto sul momento della produzione di immagini e lo fa, ormai da diversi anni, mettendo l’accento su quanto di etico e di politico c’è – qui i due termini vanno certamente accoppiati – nel fatto che l’uomo produce immagini. È doveroso citare qui almeno un titolo di Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto, che lo ha imposto come uno dei più interessanti pensatori e teorici dell’immagine viventi, con l’idea che anche l’evento irrappresentabile per eccellenza del Novecento – la Shoah – in realtà può avere testimonianze, appunto immagini malgrado tutto.
Da questo primo importante tassello di una ricerca più ampia sul rapporto tra immagini, etica e politica Didi-Huberman è passato ad analizzare le categorie di alcuni importanti pensatori del Novecento, al fine di recuperare il significato più intimo di questo nesso – appunto immagine da lato e praxis dall’altro – su cui è imperniata la sua riflessione: oltre a Warburg, Benjamin, Brecht e, in questo ultimo libro tradotto in italiano, Pasolini.
Didi-Huberman torna efficacemente sull’immagine pasoliniana della scomparsa delle lucciole nella società industriale. Con sapienza e attenzione alle sfumature, Didi-Huberman è capace di rendere il merito dovuto all’analisi pasoliniana della modernità, così come essa andava affermandosi nell’Italia del secondo dopoguerra, cogliendo il significato più profondo del tono apocalittico di Pasolini, ma prendendone anche le distanza. Per dirla in un’immagine, per Didi-Huberman le lucciole sono ancora possibili nella nostra società, seppure a lampi e tratti. È un modo, positivo e ottimista, di leggere Pasolini attraverso categorie benjaminiane. Fuori di metafora si tratta di riaffermare la possibilità, al di fuori dei meccanismi dello sfruttamento e del consumo, siano ancora possibili esperienze, anche se come esperienza di un resto marginale che è stato (ancora) risparmiato dal dispositivo tecnico globale che tende a controllare spazi sempre più ampi della nostra esistenza. Da diversi anni, si è detto, la riflessione di Didi-Huberman si va a collocare in un contesto di questo tipo. Questo libro, per la sua brevità, per il tema italiano e per la grande capacità dell’autore di comunicare le sue idee al lettore, può essere un utilissimo strumento per il pubblico italiano per avvicinarsi al progetto teorico di Didi-Huberman: comprendere il ruolo e il significato politico delle immagini al di là del loro utilizzo estetizzante da parte dei poteri che via via si costituiscono nella storia. Si tratta di comprendere al contrario quel resto di immagini che il potere non può togliere a coloro che si collocano ai suoi margini e ricostruire, per dirla con Benjamin, quella esperienza per cui la generazione presente riceve l’eredità dei vinti dal passato.
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