Rabbino, filosofo, teologo, esegeta: Jacob Taubes (1923-1987) è una
delle figure più complesse e controverse del Novecento. Eppure, nonostante
la sua travagliata esistenza abbia attraversato i centri nevralgici del secolo,
avendo vissuto e insegnato in Svizzera, a New York, a Gerusalemme e in Germania,
soltanto negli ultimi anni la sua opera sta suscitando un adeguato interesse
a livello internazionale; dopo aver curato la pubblicazione in italiano di buona
parte dei suoi scritti più importanti, quando ormai l’opera taubesiana
ha assunto una sua precisa fisionomia, Elettra Stimilli ha pubblicato la prima
biografia intellettuale di Taubes. A proposito di Taubes, tuttavia, una biografia
non può non assumere la forma saggistica come, del resto, un saggio non
può non assumere una forma biografica: vita e pensiero tendono a confondersi
in una medesima, tragica inquietudine.
Le questioni fondamentali del suo pensiero hanno preso vita nei turbolenti
e problematici rapporti personali che ha intessuto; due sono particolarmente
esemplari per rendere il costante campo di tensione in cui ha inscritto la propria
esistenza: con il giurista tedesco dai trascorsi nazisti Carl Schmitt, che Taubes,
consapevole di pensare dopo Auschwitz, ha eletto a “nemico”
degno di un confronto necessario, e con lo storico di mistica ebraica Gershom
Scholem, il “maestro” nei confronti del quale Taubes ha sempre misurato
l’originalità della sua interpretazione delle categorie fondamentali
dell’ebraismo. Se intorno ai nomi di Schmitt e Scholem si cristallizza
l’intreccio di vita e pensiero tipico di Taubes, tuttavia vi confluiscono
in modo determinante anche i nomi di Martin Heidegger, Paolo di Tarso e Walter
Benjamin per focalizzare ulteriormente i filoni di pensiero che Taubes pone
radicalmente in discussione e che Stimilli mette a tema, con una mozione d’ordine
necessaria per un pensatore così sfuggente, nel sottotitolo del libro,
Sovranità e tempo messianico: la teologia politica e la filosofia
della storia. Taubes è un pensatore del dopo: non solo dopo
Auschwitz, ma anche dopo la crisi di legittimazione dei regimi
politici, a proposito della teologia politica, e dopo la crisi della
hegeliana Ragione universale del processo storico, a proposito della filosofia
della storia. Pensare dopo, allora, significa pensare l’eccezione
in quanto “regola effettiva” di ogni ordine politico e, utilizzando
il titolo di un libro del 2000 di Giorgio Agamben, pensare il tempo che
resta dopo la “fine della storia”. La torsione interna che
Taubes impone alla teologia politica e alla filosofia della storia, il loro
rovesciamento prospettico, per Stimilli consiste in un gesto di “liquidazione”,
non nel senso di un loro superamento senza resti, per poter magari porre presupposti
nuovi e diversi, piuttosto teologia politica e filosofia della storia sono liquidate
in quanto definitivamente compiute: non esaurite per difetto di pregnanza
rispetto alla situazione storico-politica del dopo, ma esaurite “per
eccesso”, in quanto il dopo non è più né
assorbibile al loro interno né è pensabile autonomamente dal loro
compimento, sul dopo non può essere fondato nessun “nuovo
inizio” alla Heidegger.
Per Taubes, teologia politica e filosofia della storia sono compiute dal messianesimo.
“Compimento messianico” non significa individuare il quando
della fine, ma svincolare la fine da ogni pretesa di compimento, la fine resta
dopo il compimento: la “fine della storia” si converte
in “storia della fine”. “Il tempo volge al termine”
non perché si approssima la sua conclusione apocalittica; piuttosto,
ogni costruzione umana è segnata dal non potersi legittimare in altro
che sulla sua finitezza e contingenza. Dunque, contro la teologia politica di
Schmitt, nessun fondamento teologico garantisce al sovrano la legittimazione
del suo potere politico, la “separazione” tra teologia e politica
è definitiva: nessun ordinamento giuridico può esaurire l’eccezione
nella norma perché, con Paolo di Tarso, il Messia soltanto può
“compiere la Legge”. In tempi come i nostri in cui i linguaggi della
politica e della religione tendono a confondersi ancora, nella sua radicalità,
la riflessione di Taubes esclude ogni incandescente ambiguità: teologia
e politica sono unite solo in una teocrazia, in cui unico e assoluto
sovrano è il Messia e nessun uomo può farsene rappresentante;
nessun uomo può autolegittimarsi a dominare sull’altro: è
l’unico resto del Regno di Dio in questo mondo. |