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Immanuel Kant, Antropologia pragmatica.
Laterza, 2001

di Fausto Fraisopi

Il testo che qui presentiamo costituisce una delle chiavi di lettura più difficili, interessanti e stimolanti dell'intera opera kantiana, il cui interesse e la cui difficoltà derivano sostanzialmente da un'identica matrice filosofica, quella della stessa antropologia, del suo statuto ma soprattutto, della sua collocazione funzionale e strutturale all'interno della filosofia critica. Infatti, come risulta dalle lezioni di Logica, la domanda antropologica “che cos'è l'uomo?” chiude - e soprattutto perfeziona in una visione sinottica - le tre domande pertinenti agli ambiti della conoscenza, dell'agire pratico, della teleologia in connessione con la fede razionale o riflettente. «Il campo della filosofia», afferma Kant, «in significato cosmopolitico si può ricondurre alle seguenti domande: 1) Che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è lecito sperare? 4)Che cosa è l'uomo?» (I. Kant, Logica, tr. it. p.19). L'ordine delle domande non è nè gerarchico nè, cosa aliena dal procedere kantiano, casuale, ma architettonico: cosa ancora più eloquente è che il manifestarsi delle questioni nella loro specifica trattazione risulta progressivo in quanto rispecchia, quantomai precisamente, l'itinerario filosofico kantiano e la cronologia delle opere che su quelle domande si cimentano, a cui, in senso trascendentale, forniscono risposta ed a cui, infine, la riflessione kantiana farà sempre e necessariamente riferimento. Ma l'eloquenza e l'importanza dell'Antropologia pragmatica (o dal punto di vista pragmatico) emerge nella prefazione kantiana all'opera in cui si afferma che «il conoscere […] l'uomo nella sua specie come creatura terrestre dotata di ragione merita di essere detto, in modo particolare, conoscenza del mondo, sebbene egli costituisca solo una parte delle creature della terra» (p. 3). La conoscenza dell'uomo, quindi, non arriva ad integrare, in modo estensivo una già prefigurata e determinata conoscenza del mondo, laddove queste vengano intese come entità discrete, giustapposte, reciprocamente estranee. Come afferma Kant in una Reflexion: «Welterkenntnis ist Menschenerkenntnis», la conoscenza del mondo è conoscenza dell'uomo e ciò avviene in modo inequivocabile e categorico. Proprio attraverso tale rapporto di corrispondenza ma, soprattutto, di rispecchiamento, l'antropologia kantiana e l'Antropologia pragmatica come sua più matura e definita testimonianza ed attraverso la chiarificazione del concetto di “pragmatico” la critica della ragione acquisisce il suo senso unitario, sebbene, cosa oltremodo curiosa, l'Antropologia pragmatica non sia da annettersi alle opere sistematiche della filosofia trascendentale kantiana. Il rapporto di rispecchiamento tra uomo e mondo, la loro intima corrispondenza ed appartenenza, quindi, concepito e finalizzato a «determinar quello che l'uomo come essere libero fa oppure può fare di sé stesso» (p. 3) e non come mera classificazione osservativa di dati fisiologici (o psicologici) si propone, mai come prima nell'opera di Kant, come phrònesis o, seguendo la terminologia tedesca utilizzata dallo stesso Kant, Weltklugkeit. La definizione di questo rapporto, al di là delle fondamentali implicazioni filosofiche del rispecchiamento tra uomo e mondo, non viene tuttavia a presentarsi come una noiosa o pedante esposizione di precetti, regole o anche solo classificazioni antropologiche: essa costituisce forse l'opera stilisticamente più vivace e ironica del Kant della maturità, paragonabile solo, all'interno dell'opera kantiana, ai Sogni di un visionario chiariti con in sogni della metafisica. L'Antropologia pragmatica è una delle opere di Kant stilisticamente più godibili, e, nonostante le implicazioni filosoficho-pedagogiche fondamentali che porta con sé, un'opera la cui lettura è piacevole e godibile in cui lo sguardo teoretico “scivola” nell'osservazione del mondo degli uomini, del mondo della vita, dell'intersoggettività, un'opera in cui la rarefazione teoretica assoluta dei concetti cede ad una più variopinta e spigliata caratterizzazione delle attitudini umane.
La difficoltà della collocazione del testo, una collocazione necessaria se si vuole comprendere a pieno la portata filosofica fondamentale, non fiacca quindi lo stimolo della lettura, anche da parte di colui non sempre intenzionato a giungere ai fondamenti ed ai presupposti più celati della filosofia trascendentale. L'interesse è poi fornito dal quadro che Kant, sempre in modo sistematico, dipinge della società umana e della società del suo tempo, vista da un osservatorio, quello dell'estremo lembo della Prussia, non poi così isolato, perché, come dice lo stesso Kant, «ai mezzi per l'ampliamento dell'antropologia appartiene il viaggiare, sia pur anche soltanto la lettura dei libri di viaggi». «Ma - continua - si deve prima aver acquistato a casa, nelle relazioni coi propri concittadini e compaesani, la conoscenza degli uomini, se si vuol sapere dove si deve cercare all'estero il modo di estenderla. Una grande città - infatti - centro di uno Stato, dove si trovano i consigli di governo, che possiede un'università (per la cultura scientifica) ed è anche sede di commercio marittimo […] una tal città, come è per esempio Königsberg sul Pregel, può essere presa come sede adatta per l'ampliamento della conoscenza dell'uomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi può essere acquistata senza viaggiare». Proprio attraverso la sua attività all'Università Kant sviluppa i suoi lavori, progressivi e sempre più connessi alla genesi del pensiero critico, concernenti l'antropologia. In una lettera a Marcus Herz risalente alla fine del 1773, Kant annuncia al suo corrispondente la sua ferma intenzione di trasformare l'insegnamento privato di antropologia in una materia universitaria a tutti gli effetti. Tre, infatti, sono i testi di antropologia di cui lo studioso di Kant dispone per comprendere, soprattutto nel suo percorso genetico, l'Antropologia pragmatica quale risultato definito e definitivo di uno studio pluridecennale di indagine sui costumi e le attitudini umane. L'Antropologia, quindi, espone in modo quanto mai eloquente la vastità della domanda kantiana sull'uomo nella sua corrispondente e speculare domanda sul mondo. Si viene quindi a verificare, in questo caso, una eloquente corrispondenza con quanto ebbe a dire Cassirer dei primi anni di magistero kantiani: «Quello a cui Kant mira sia nella propria formazione sia nell'insegnamento accademico è quindi dovunque l'ideale di un'ampia scienza pratica dell'uomo [praktische Menschenkunde]. In particolare, come dapprima perseguirono tale fine le lezioni di geografia fisica, così più oltre esso fu l'intento delle lezioni di antropologia. Ma il vero e più profondo motivo della leggerezza mondana assunta dalla filosofia di Kant in questo periodo sta nel rapporto che qui si pone fra esperienza e pensiero, tra sapere e vita. Fra questi due poli non esiste ancora alcuna tensione né contrarietà. Il pensiero stesso e la sua sistematica, così come vengono qui intesi, non sono altro che l'esperienza affinata, depurata di superstizioni e di pregiudizi […]». Qual è allora il significato filosofico e speculativo fondamentale dell'Antropologia pragmatica del '98 se, a ben vedere poco o nulla dell'atteggiamento kantiano è mutato dalle indagini antropologiche del periodo “precritico”? Il suo significato fondamentale giace proprio nella sua presenza in rapporto, decisamente non oppositivo, a quell'indagine filosofica epocale che della “leggerezza mondana” ha ben poco, a quell'interrogazione filosofica epocale volta a sancire il distacco dalla metafisica tradizionale e dalle sue strutture peculiari. L'interesse antropologico rimane quindi e, anzi, si rafforza proprio in virtù della disposizione sistematica delle questioni della filosofia trascendentale che, sempre e costantemente, incontrano come loro referente imprescindibile l'uomo. C'era una frase di Pope che Kant amava particolarmente e che costituisce, in considerazione della costante ricerca ed interrogazione kantiana sull'uomo, più una sfida che non una verità da accettare: «Uomo, tu che sei un difficile problema ai tuoi stessi occhi. No, non arrivo a comprenderti». La comprensione, e questa e la sfida kantiana, risiede proprio nella stretta relazione sussistente tra il rapporto speculare di Menschenerkenntnis e Welterkenntnis da un lato e la relazione, costante e pedissequamente perseguita, tra filosofia critica e indagine antropologica. Ecco come, quindi, all'interno del laboratorio filosofico kantiano, il detto di Pope amplia a dismisura i suoi orizzonti e la sua problematicità inscrivendosi in questa doppia complessa relazionalità: la stessa filosofia trascendentale ne rimane intessuta tanto da riproporre, appunto nel '98, il problema in tutta la sua stimolante vivacità. La semplice interrogazione descrittiva del mondo preso nella sua unilateralità o dell'uomo preso nella sua “solitudine” non arrivano a costituire la profondità dell'interrogazione kantiana che si muove, in quanto profondamente speculativa, nel rispecchiamento tra i due elementi. A sua volta, tuttavia questo rapporto viene portato alle sue estreme potenzialità filosofiche laddove esso venga assunto tanto dalla filosofia trascendentale stricto sensu intesa, quanto dall'indagine empirico-descrittiva. Questa è la ragione per cui è lo schema delle facoltà dell'animo umano che viene assunto come filo conduttore tanto dell'indagine critica quanto dell'indagine antropologica. L'opera si divide in una prima parte, la Didattica antropologica del modo di conoscere l'interno e l'esterno dell'uomo, corrispondente ad una dottrina degli elementi di una delle Critiche kantiane e in una seconda parte, la Caratteristica antropologica della maniera di conoscere dall'esterno l'interno dell'uomo, corrispondente, in modo analogo, ad una dottrina del metodo. La prima parte risulta a sua volta tripartita in tre libri che trattano, rispettivamente, le facoltà dell'animo, la facoltà di conoscere, il sentimento di piacere e dispiacere, la facoltà appetitiva. Vogliamo a questo punto riportare un passo non fondamentale dal punto di vista filosofico ma eloquente dal punto di vista stilistico e tematico dell'opera, che molto spesso associa, in modo organico, importanti spunti per la caratterizzazione delle facoltà ad aneddoti o curiosità squisitamente “informative” o descrittive. Il passo descrive i modi di eccitare o calmare l'immaginazione: «Per eccitare o calmare l'immaginazione - dice Kant - c'è un mezzo fisico, che è l'uso di sostanze inebrianti, alcune delle quali, come veleni, agiscono indebolendo la forza vitale (di tal genere sono taluni funghi, il rosmarino silvestre, l'acanto, la chica dei Peruviani, l'ava degli indiani dei mari del Sud, l'oppio); altre agiscono rafforzandola, o almeno eccitando il sentimento che se ne ha (come le bevande fermentate, il vino e la birra, o l'estratto di esse, l'acquavite); ma tutte sono contro natura e artificiose. Colui che le prende in misura così soverchia, che per un certo tempo diventa incapace di ordinare le rappresentazioni sensibili secondo le leggi dell'esperienza, si dice ebbro o ubriaco, e il mettersi volontariamente o di proposito in tale condizione, si dice ubriacarsi. Ma tutti questi mezzi devono servire a far dimenticare all'uomo il peso che originariamente sembra risiedere nella vita in genere. - La tendenza molto diffusa alle bevande alcoliche e l'influenza di esse sulla vita intellettuale merita di esser presa in considerazione specialmente in un'antropologia pragmatica» (pp.54-55).
Non sappiamo se Kant avesse direttamente fatto esperienza, nella sua cittadina prussiana, dei fatti che descrive con tanta pregnanza, ironia e stile e nemmeno c'interessa, in quanto la biografia del pensatore è la sua opera e non sono, salvo eccezioni, le sue attitudini o frequentazioni sociali: è certo tuttavia che Kant, quanto sveste i panni dell'osservatore (o del diretto sperimentatore) e veste quelli del filosofo della Critica della ragione, mostra in che modo il lavoro di osservazione del mondo e di introspezione dell'uomo non possano andare separati, mostra come tali ambiti di considerazione vengano poi assunti e fatti propri da una filosofia speculativa che risponde alla domanda sull'uomo in modo sempre aperto e non unilaterale: «Menschenerkenntnis ist Welterkenntnis, Welterkenntnis ist Menschenerkenntnis». La risposta, a ben vedere, non è né scontata né non pertinente, si costituisce come un processo di interrogazione squisitamente filosofica.

PUBBLICATO IL : 01-01-2005
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