Il testo che qui presentiamo costituisce una delle chiavi di lettura più
difficili, interessanti e stimolanti dell'intera opera kantiana, il cui interesse
e la cui difficoltà derivano sostanzialmente da un'identica matrice filosofica,
quella della stessa antropologia, del suo statuto ma soprattutto, della sua
collocazione funzionale e strutturale all'interno della filosofia critica. Infatti,
come risulta dalle lezioni di Logica, la domanda antropologica “che
cos'è l'uomo?” chiude - e soprattutto perfeziona in una visione
sinottica - le tre domande pertinenti agli ambiti della conoscenza, dell'agire
pratico, della teleologia in connessione con la fede razionale o riflettente.
«Il campo della filosofia», afferma Kant, «in significato
cosmopolitico si può ricondurre alle seguenti domande: 1) Che cosa posso
sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è lecito sperare? 4)Che
cosa è l'uomo?» (I. Kant, Logica, tr. it. p.19). L'ordine
delle domande non è nè gerarchico nè, cosa aliena dal procedere
kantiano, casuale, ma architettonico: cosa ancora più eloquente è
che il manifestarsi delle questioni nella loro specifica trattazione risulta
progressivo in quanto rispecchia, quantomai precisamente, l'itinerario filosofico
kantiano e la cronologia delle opere che su quelle domande si cimentano, a cui,
in senso trascendentale, forniscono risposta ed a cui, infine, la riflessione
kantiana farà sempre e necessariamente riferimento. Ma l'eloquenza e
l'importanza dell'Antropologia pragmatica (o dal punto di vista pragmatico)
emerge nella prefazione kantiana all'opera in cui si afferma che «il conoscere
[…] l'uomo nella sua specie come creatura terrestre dotata di ragione
merita di essere detto, in modo particolare, conoscenza del mondo, sebbene egli
costituisca solo una parte delle creature della terra» (p. 3). La conoscenza
dell'uomo, quindi, non arriva ad integrare, in modo estensivo una già
prefigurata e determinata conoscenza del mondo, laddove queste vengano intese
come entità discrete, giustapposte, reciprocamente estranee. Come afferma
Kant in una Reflexion: «Welterkenntnis ist Menschenerkenntnis»,
la conoscenza del mondo è conoscenza dell'uomo e ciò avviene in
modo inequivocabile e categorico. Proprio attraverso tale rapporto di corrispondenza
ma, soprattutto, di rispecchiamento, l'antropologia kantiana e l'Antropologia
pragmatica come sua più matura e definita testimonianza ed attraverso
la chiarificazione del concetto di “pragmatico” la critica della
ragione acquisisce il suo senso unitario, sebbene, cosa oltremodo curiosa, l'Antropologia
pragmatica non sia da annettersi alle opere sistematiche della filosofia
trascendentale kantiana. Il rapporto di rispecchiamento tra uomo e mondo, la
loro intima corrispondenza ed appartenenza, quindi, concepito e finalizzato
a «determinar quello che l'uomo come essere libero fa oppure può
fare di sé stesso» (p. 3) e non come mera classificazione osservativa
di dati fisiologici (o psicologici) si propone, mai come prima nell'opera di
Kant, come phrònesis o, seguendo la terminologia tedesca utilizzata
dallo stesso Kant, Weltklugkeit. La definizione di questo rapporto,
al di là delle fondamentali implicazioni filosofiche del rispecchiamento
tra uomo e mondo, non viene tuttavia a presentarsi come una noiosa o pedante
esposizione di precetti, regole o anche solo classificazioni antropologiche:
essa costituisce forse l'opera stilisticamente più vivace e ironica del
Kant della maturità, paragonabile solo, all'interno dell'opera kantiana,
ai Sogni di un visionario chiariti con in sogni della metafisica. L'Antropologia
pragmatica è una delle opere di Kant stilisticamente più
godibili, e, nonostante le implicazioni filosoficho-pedagogiche fondamentali
che porta con sé, un'opera la cui lettura è piacevole e godibile
in cui lo sguardo teoretico “scivola” nell'osservazione del mondo
degli uomini, del mondo della vita, dell'intersoggettività, un'opera
in cui la rarefazione teoretica assoluta dei concetti cede ad una più
variopinta e spigliata caratterizzazione delle attitudini umane.
La difficoltà della collocazione del testo, una collocazione necessaria
se si vuole comprendere a pieno la portata filosofica fondamentale, non fiacca
quindi lo stimolo della lettura, anche da parte di colui non sempre intenzionato
a giungere ai fondamenti ed ai presupposti più celati della filosofia
trascendentale. L'interesse è poi fornito dal quadro che Kant, sempre
in modo sistematico, dipinge della società umana e della società
del suo tempo, vista da un osservatorio, quello dell'estremo lembo della Prussia,
non poi così isolato, perché, come dice lo stesso Kant, «ai
mezzi per l'ampliamento dell'antropologia appartiene il viaggiare, sia pur anche
soltanto la lettura dei libri di viaggi». «Ma - continua - si deve
prima aver acquistato a casa, nelle relazioni coi propri concittadini e compaesani,
la conoscenza degli uomini, se si vuol sapere dove si deve cercare all'estero
il modo di estenderla. Una grande città - infatti - centro di uno Stato,
dove si trovano i consigli di governo, che possiede un'università (per
la cultura scientifica) ed è anche sede di commercio marittimo […]
una tal città, come è per esempio Königsberg sul Pregel,
può essere presa come sede adatta per l'ampliamento della conoscenza
dell'uomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi può essere acquistata
senza viaggiare». Proprio attraverso la sua attività all'Università
Kant sviluppa i suoi lavori, progressivi e sempre più connessi alla genesi
del pensiero critico, concernenti l'antropologia. In una lettera a Marcus Herz
risalente alla fine del 1773, Kant annuncia al suo corrispondente la sua ferma
intenzione di trasformare l'insegnamento privato di antropologia in una materia
universitaria a tutti gli effetti. Tre, infatti, sono i testi di antropologia
di cui lo studioso di Kant dispone per comprendere, soprattutto nel suo percorso
genetico, l'Antropologia pragmatica quale risultato definito e definitivo
di uno studio pluridecennale di indagine sui costumi e le attitudini umane.
L'Antropologia, quindi, espone in modo quanto mai eloquente la vastità
della domanda kantiana sull'uomo nella sua corrispondente e speculare domanda
sul mondo. Si viene quindi a verificare, in questo caso, una eloquente corrispondenza
con quanto ebbe a dire Cassirer dei primi anni di magistero kantiani: «Quello
a cui Kant mira sia nella propria formazione sia nell'insegnamento accademico
è quindi dovunque l'ideale di un'ampia scienza pratica dell'uomo [praktische
Menschenkunde]. In particolare, come dapprima perseguirono tale fine le
lezioni di geografia fisica, così più oltre esso fu l'intento
delle lezioni di antropologia. Ma il vero e più profondo motivo della
leggerezza mondana assunta dalla filosofia di Kant in questo periodo sta nel
rapporto che qui si pone fra esperienza e pensiero, tra sapere e vita. Fra questi
due poli non esiste ancora alcuna tensione né contrarietà. Il
pensiero stesso e la sua sistematica, così come vengono qui intesi, non
sono altro che l'esperienza affinata, depurata di superstizioni e di pregiudizi
[…]». Qual è allora il significato filosofico e speculativo
fondamentale dell'Antropologia pragmatica del '98 se, a ben vedere
poco o nulla dell'atteggiamento kantiano è mutato dalle indagini antropologiche
del periodo “precritico”? Il suo significato fondamentale giace
proprio nella sua presenza in rapporto, decisamente non oppositivo, a quell'indagine
filosofica epocale che della “leggerezza mondana” ha ben poco, a
quell'interrogazione filosofica epocale volta a sancire il distacco dalla metafisica
tradizionale e dalle sue strutture peculiari. L'interesse antropologico rimane
quindi e, anzi, si rafforza proprio in virtù della disposizione sistematica
delle questioni della filosofia trascendentale che, sempre e costantemente,
incontrano come loro referente imprescindibile l'uomo. C'era una frase di Pope
che Kant amava particolarmente e che costituisce, in considerazione della costante
ricerca ed interrogazione kantiana sull'uomo, più una sfida che non una
verità da accettare: «Uomo, tu che sei un difficile problema ai
tuoi stessi occhi. No, non arrivo a comprenderti». La comprensione, e
questa e la sfida kantiana, risiede proprio nella stretta relazione sussistente
tra il rapporto speculare di Menschenerkenntnis e Welterkenntnis
da un lato e la relazione, costante e pedissequamente perseguita, tra filosofia
critica e indagine antropologica. Ecco come, quindi, all'interno del laboratorio
filosofico kantiano, il detto di Pope amplia a dismisura i suoi orizzonti e
la sua problematicità inscrivendosi in questa doppia complessa relazionalità:
la stessa filosofia trascendentale ne rimane intessuta tanto da riproporre,
appunto nel '98, il problema in tutta la sua stimolante vivacità. La
semplice interrogazione descrittiva del mondo preso nella sua unilateralità
o dell'uomo preso nella sua “solitudine” non arrivano a costituire
la profondità dell'interrogazione kantiana che si muove, in quanto profondamente
speculativa, nel rispecchiamento tra i due elementi. A sua volta, tuttavia questo
rapporto viene portato alle sue estreme potenzialità filosofiche laddove
esso venga assunto tanto dalla filosofia trascendentale stricto sensu intesa,
quanto dall'indagine empirico-descrittiva. Questa è la ragione per cui
è lo schema delle facoltà dell'animo umano che viene assunto come
filo conduttore tanto dell'indagine critica quanto dell'indagine antropologica.
L'opera si divide in una prima parte, la Didattica antropologica del modo
di conoscere l'interno e l'esterno dell'uomo, corrispondente ad una dottrina
degli elementi di una delle Critiche kantiane e in una seconda parte,
la Caratteristica antropologica della maniera di conoscere dall'esterno
l'interno dell'uomo, corrispondente, in modo analogo, ad una dottrina del
metodo. La prima parte risulta a sua volta tripartita in tre libri che trattano,
rispettivamente, le facoltà dell'animo, la facoltà di conoscere,
il sentimento di piacere e dispiacere, la facoltà appetitiva. Vogliamo
a questo punto riportare un passo non fondamentale dal punto di vista filosofico
ma eloquente dal punto di vista stilistico e tematico dell'opera, che molto
spesso associa, in modo organico, importanti spunti per la caratterizzazione
delle facoltà ad aneddoti o curiosità squisitamente “informative”
o descrittive. Il passo descrive i modi di eccitare o calmare l'immaginazione:
«Per eccitare o calmare l'immaginazione - dice Kant - c'è un mezzo
fisico, che è l'uso di sostanze inebrianti, alcune delle quali, come
veleni, agiscono indebolendo la forza vitale (di tal genere sono taluni funghi,
il rosmarino silvestre, l'acanto, la chica dei Peruviani, l'ava degli indiani
dei mari del Sud, l'oppio); altre agiscono rafforzandola, o almeno eccitando
il sentimento che se ne ha (come le bevande fermentate, il vino e la birra,
o l'estratto di esse, l'acquavite); ma tutte sono contro natura e artificiose.
Colui che le prende in misura così soverchia, che per un certo tempo
diventa incapace di ordinare le rappresentazioni sensibili secondo le leggi
dell'esperienza, si dice ebbro o ubriaco, e il mettersi volontariamente o di
proposito in tale condizione, si dice ubriacarsi. Ma tutti questi mezzi devono
servire a far dimenticare all'uomo il peso che originariamente sembra risiedere
nella vita in genere. - La tendenza molto diffusa alle bevande alcoliche e l'influenza
di esse sulla vita intellettuale merita di esser presa in considerazione specialmente
in un'antropologia pragmatica» (pp.54-55).
Non sappiamo se Kant avesse direttamente fatto esperienza, nella sua cittadina
prussiana, dei fatti che descrive con tanta pregnanza, ironia e stile e nemmeno
c'interessa, in quanto la biografia del pensatore è la sua opera e non
sono, salvo eccezioni, le sue attitudini o frequentazioni sociali: è
certo tuttavia che Kant, quanto sveste i panni dell'osservatore (o del diretto
sperimentatore) e veste quelli del filosofo della Critica della ragione, mostra
in che modo il lavoro di osservazione del mondo e di introspezione dell'uomo
non possano andare separati, mostra come tali ambiti di considerazione vengano
poi assunti e fatti propri da una filosofia speculativa che risponde alla domanda
sull'uomo in modo sempre aperto e non unilaterale: «Menschenerkenntnis
ist Welterkenntnis, Welterkenntnis ist Menschenerkenntnis». La risposta,
a ben vedere, non è né scontata né non pertinente, si costituisce
come un processo di interrogazione squisitamente filosofica.
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