Se Polis und Moderne vuol essere un primo tentativo di scoprire dove
si nascondono le tracce del pensiero e dell'opera di Landshut a trent'anni dalla
sua scomparsa e di riallacciare i fili di un pensiero - precocemente interrotto
- sul Politico a confronto con le sfide del Moderno (a cui lo stesso titolo
allude), allora sembra essere un tentativo riuscito. Se poi tra coloro che vi
hanno in qualche modo contribuito figurano anche nomi importanti come quello
di Iring Fetscher o di Shmuel Eisenstadt, allora le premesse per parlare di
una "riscoperta" di Siegfried Landshut sembrano più solide
di quelle che sorreggono solitamente tante "riscoperte e riabilitazioni"
destinate spesso a concludersi senza aver sortito effetti di qualche rilievo.
Polis und Moderne. Siegfried Landshut in heutiger Sicht (Dietrich Reimer
Verlag, Berlin Hamburg 2000, 224 pp.) raccoglie gli interventi del ciclo di
conferenze e del convegno organizzati tra l'11 novembre e il 2 dicembre del
1997 dall'università di Amburgo in occasione del centenario della nascita
di Siegfried Landshut, scienziato della politica "non-ariano" e pertanto
allontanato all'inizio della sua carriera accademica dall'università
e costretto all'esilio nel 1933 insieme a centinaia di altri intellettuali ebrei.
Rainer Nicolaysen, già "biografo" di Landshut [Siegfried
Landshut. Die Wiederentdeckung der Politik. Eine Biographie, Frankfurt/Main
1997] ha curato anche questa edizione che ha il pregio di presentare anche un'appendice
con la riproduzione di venti documenti tra lettere personali (prima e durante
l'esilio), certificati che testimoniano dell'allontanamento dall'università
di Amburgo, appunti di lezioni tenute durante il periodo d'insegnamento dopo
il rientro in Germania. L'ordine dei contributi riproduce quello del convegno:
prima le conferenze pubbliche (con gli interventi di Klaus von Dohnanyi, Shmuel
Eisenstadt e Iring Fetscher), poi le relazioni lette durante il convegno vero
e proprio, cui hanno partecipato diversi studiosi, tra cui allievi di Landshut
e autori che si sono cimentati con la sua opera.
Apre la raccolta - di cui ci preme offrire una panoramica il più possibile
completa, anche se non possiamo per ovvie ragioni inoltrarci nelle pieghe dei
singoli ragionamenti - il discorso inaugurale tenuto da Klaus
von Dohnanyi [Haben die Politischen Wissenschaften einen Nutzen
für die Politik?, pp. 7-16], ex sindaco di Amburgo, in occasione dell'apertura
del ciclo di conferenze. Pur trattandosi di un discorso di taglio marcatamente
politico, lo si segnala qui per due motivi: in primo luogo per l'affresco drammatico
della città anseatica alla vigilia dell'affermazione del regime hitleriano,
ricco di riferimenti biografici in particolare a quegli intellettuali che animavano
la vita universitaria, tra i quali Siegfried Landshut e Hans von Dohnanyi; e
poi per il tentativo - questo forse un po' meno riuscito - di attualizzazione
dell'idea-guida del pensiero di Landshut, un "modello di politica orientata
al bene comune", nell'epoca della globalizzazione. Siegfried Landshut e
Hans von Dohnanyi erano entrambi all'attivo dell'Istituto per la politica estera,
diretto da Mendelssohn Bartholdy e allora impegnato nel difficile dibattito
sulle conseguenze del trattato di Versailles e dei risarcimenti post-bellici.
Del gruppo di studiosi faceva parte anche Alfred Vagts - emigrato già
prima del '33 negli Stati uniti, dove si stabilì dopo essere stato chamato
ad insegnare storia alla Harvard University - che Dohnanyi ha voluto ricordare
in memoria delle centinaia di intellettuali espulsi dalla Germania con l'avvento
del nazionalsocialismo. A tal proposito non è forse superfluo segnalare
che tanto il ciclo di conferenze su Landshut che la biografia edita da Nicolaysen
si collocano nell'ambito di un progetto intrapreso dalla stessa università
di Amburgo all'inizio degli anni Novanta da oltre cinquanta studiosi e studiose
afferenti a diversi ambiti disciplinari con l'intento di ricostruire la storia
dell'università durante il Terzo Reich e riprendere i fili delle tante
storie personali di esilio vissute da altrettanti intellettuali di origine ebraica,
di cui tanti non tornarono mai indietro. Non una semplice statistica - "di
statistiche ne abbiamo fatte tante e tuttavia non abbiamo la minima idea della
realtà di allora", puntualizza Dohnanyi [Polis und Moderne,
p. 8] - ma un lavoro minuzioso di "decostruzione" e ricostruzione
storica che vanta diverse pubblicazioni, tra le quali, tra le prime, Die
Wissenschaftler Ernst Cassirer, Bruno Snell, Siegfried Landshut (di John
Michael Krois, Gerhard Lohse, Rainer Nicolaysen, Hamburg 1994). Il discorso
di Dohnanyi, come forse c'era da attendersi, semplifica a tratti eccessivamente
il pensiero di Landshut, come anche il suo richiamo alle categorie classiche
del pensiero politico per comprendere le anomalie del presente: "Una comunità
di 300 milioni di persone non è pensabile sul modello della Polis",
dice infatti Dohnanyi [op. cit. p. 11] che - con Landshut - riconosce nella
globalizzazione un processo che avanza in direzione contraria rispetto al tentativo
di riassegnare alla politica il suo presupposto originario, quella Lebensgemeinschaft
che contrassegnò pressoché ininterrottamente l'opera dell'autore
della Kritik der Soziologie. La politica, aggiunge Dohnanyi in chiusura,
non può comunque fare a meno delle scienze politiche, anche questo è
un insegnamento di Landshut che col tempo non perde la sua validità.
Più che un contributo alla sua riscoperta quello di Shmuel
N. Eisenstadt [The Modern European Political Programme
- Tensions and Antinomies. The Civilizational and Historical Framework of Siegfried
Landshut's Work and Problematiques, pp. 17-36] è piuttosto un tributo
all'insegnamento di Landshut nell'ambito della scienza della politica. In un
saggio in inglese, Eisenstadt - che conobbe Landshut negli anni Quaranta nella
Gerusalemme di Martin Buber - affronta il tema delle antinomie della modernità
a partire dal binomio uguaglianza-libertà - caro a Landshut, come indica
il sottotitolo della Kritik der Soziologie, Freiheit und Gleichheit als
Ursprungsproblem der Soziologie [Libertà e uguaglianza come problema
originario della sociologia] - letto alla luce delle tensioni tra democrazia
e totalitarismo che attraversarono l'Europa degli anni Trenta. Eisenstadt propone
una lettura della modernità come processo di trasformazione delle antinomie
della secolarizzazione nella tensione tra le diverse interpretazioni dell'autonomia
e dell'egemonia dell'uomo e della ragione, dalle quali origina la domanda sulla
possibilità di un autentico fondamento morale o di un ordinamento morale
a fronte del riconoscimento di tale autonomia e egemonia. Attorno a questo nucleo
problematico si articolano le tendenze insite nel discorso della modernità:
la risposta religiosa o tradizionale da una parte, l'affermazione del primato
della ragione dall'altra. Le tensioni tra il programma culturale della modernità
e le sue premesse e quelle tra tali premesse e l'effettiva evoluzione istituzionale
registrata dalle moderne società occidentali sono espressione di quella
prima contraddizione ma allo stesso tempo costituiscono il terreno sul quale
si sviluppano le antinomie classiche del moderno: tra concezioni totalizzanti
e pluralistiche, variamente declinate, o tra controllo e autonomia, tra disciplina
e libertà. Tali tensioni, osserva Eisenstadt riprendendo quegli stessi
temi weberiani con i quali Landshut non ha mai smesso di misurarsi, sfociano
e si manifestano nell'arena politica [op. cit., p. 29], dove il problema è
rappresentato dalla difficoltà di definire peso e misura della pluralità
degli interessi individuali in vista della formazione della volontà generale
nell'ambito dei moderni sistemi democratici costituzionali. Uno dei compiti
più ardui per la scienza politica sta nel comprendere come il riconoscimento
della legittimità delle diverse visioni del mondo e della società
"migliore" affondi le sue radici in quella antinomia originaria tra
visione totalitaristica - potenzialmente totalitaria - e quella pluralistica.
Nessuna delle democrazie moderne può dire di essersi liberata interamente
del suo elemento giacobino, magari in versione utopica, o dell'appello a qualche
componente essenziale dell'identità collettiva, o del richiamo alla centralità
della religione nella costruzione di tale identità o per la legittimazione
dell'ordinamento politico [op. cit., p. 32]. Non c'è insomma tra i moderni
sistemi democratici occidentali chi non porti le tracce di quelle tensioni che
accompagnano il "discorso culturale della modernità" sin dalle
origini e che, conclude Eisenstadt, segnarono la strada della riflessione di
Siegfried Landshut. Quello di Eisenstadt è comunque un vero e proprio
saggio che riprende temi fondamentali della sua riflessione e che merita attenzione
indipendentemente dal contesto in cui è stato presentato.
Il contributo di Iring Fetscher [Siegfried
Landshut - Karl Marx und der klassische Politikbegriff, pp. 37-51] si distingue
per competenza, chiarezza espositiva e ricchezza di particolari. Non manca neanche
un ricordo personale della comune partecipazione alla "Marxismuskommission"
della Evangelischen Studiengemeinschaft, di cui Landshut, così Fetscher,
"era di gran lunga quello che conosceva Marx meglio di tutti, in particolare
gli scritti giovanili": «Una volta tirò fuori dal taschino
della giacca una lente e se la fissò per leggere meglio: per tutti noi,
membri della commissione, fu uno shock. Più tardi venni a sapere che
anche il Karl Marx che Landshut tanto ammirava si aiutava a volte con lo stesso
strumento. La cosa mi tranquillizzò, e non soltanto me» [op. cit.
p. 37]. Al centro della riflessione di Fetscher c'è l'interpretazione
di Marx nel pensiero di Landshut, dalla Kritik der Soziologie all'ultimo
saggio Immer noch Marx? pubblicato postumo nel 1969, senza tralasciare
quello del 1956 sulla Auflösung der Klassengesellschaft [La dissoluzione
della società classista]. Sin dalla Kritik Marx ha per Landshut
un ruolo di primo piano: la sua lettura del Marx degli scritti giovanili troverà
conferma tre anni più tardi nella pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici
del '44 (di cui Landshut nel 1932 in collaborazione con Jacob Peter Mayer
curò l'edizione tascabile Kröner, come Nationalökonomie
und Philosophie nel volume Der historische Materialismus. Die Frühschriften,
ora alla settima ristampa). Nella Kritik der Soziologie, scritta nel
'29 come tesi di abilitazione ma respinta dalla commissione, ostile all'autore
e all'ambiente accademico in cui si era formato, Landshut - spiega Fetscher
- affronta criticamente, a partire da Weber, le diverse impostazioni della sociologia
tradizionale tedesca. La validità di una ricerca scientifica non risiede
in ultima istanza - come vuole Weber - nella scelta arbitraria dello studioso,
ma in una relazione che in qualche modo si fondi nelle cose stesse, nell'oggetto
della ricerca da cui sorge e si impone la domanda scientifica. Landshut, vede
bene Fetscher, giunge a formulare due tesi che fungono da paradigma critico
per le altre teorie sociologiche affermatesi negli anni a cavallo tra Ottocento
e Novecento: «L'origine di un problema autentico va cercata nella sua
problematicità fattuale. Il carattere fattuale del suo campo tematico
è storico, e richiede la comprensione di "connessioni concrete"».
Lo stesso Weber, che pure si è lasciato guidare nei suoi studi dalla
realtà dell'avanzare del capitalismo moderno (l'oggetto della sua analisi
è il contesto esistenziale dal quale nascevano i suoi studi), lo stesso
Weber si abbandona alla tendenza formalizzante in auge nella sociologia degli
esordi e, inseguendo il modello idealtipico, prende congedo dalla realtà.
Questo è il punto in cui Landshut lascia Weber e si allaccia a Marx:
il punto di vista di Marx, quello che ha guidato le sue indagini infaticabili
sulla società, è la sua possibile trasformazione. La realtà
è necessariamente modificabile, perché quella presente contraddice
l'autentica essenza dell'uomo, che consiste nella sua libertà e nella
sua autorealizzazione. E qui Landshut riconosce la superiorità di Marx
rispetto ai sociologi tedeschi, che assumono la società come "realtà
unitaria" dai caratteri costanti, come "l'oggetto in sé irrilevante
di un'analisi" e dimenticano che lo stesso concetto di società non
nasce prima della moderna società borghese. Per Marx, con la nascita
della società borghese e il suo autonomizzarsi di fronte allo stato politico,
l'uomo si divide: da una parte gli individui mossi da fini egoistici, in lotta
permanente e ostili allo stato che percepiscono come una particolarità
a loro sovraordinata, estranea e di ostacolo per la loro libertà; dall'altra
i Citoyens, che si identificano con l'universalità dell'intero
e delle sue leggi, anche se solo "spiritualmente" [p. 39]. L'uomo
reale è membro della società borghese ma, in quanto monade egoistica,
è separato dagli altri uomini e si esperisce come "non vero".
Per fare dell'uomo reale l'uomo autentico occorre cambiare radicalmente la società
borghese, occorre che l'uomo come esemplare si risolva nel genere [die wahre
Emanzipation des Menschen bestehe darin, als Exemplar in der Gattung aufzugehen],
solo allora l'emancipazione umana può dirsi compiuta. Qui secondo Fetscher
l'interpretazione di Landshut si spinge oltre l'intenzione di Marx [pp. 39 e
sgg.] peccando di semplificazione in particolare nell'uso dei concetti di "esemplare"
e "genere": «Il termine "ente generico" in Marx ha
un duplice significato. Egli intende da una parte l'entità [Wesen]
del genere, cioè la connessione generale degli uomini nell'ambito di
una società, ma nel contempo anche l'essenza [Wesen] dell'individuo
che si attua come zoon politikon, come animale sociale, cioè
dell'uomo che si realizza attraverso i rapporti con gli altri uomini e mediante
l'appropriazione delle qualità appartenenti al genere, quali lingua,
ragione, abilità e così via». L'appropriazione della cultura
da parte dell'uomo passa per la riduzione del tempo di lavoro, sua condizione
essenziale, e quindi la trasformazione del produttore associato in un altro
soggetto. L'interpretazione di Landshut dell'ideale futuro secondo Marx, osserva
Fetscher, «è eccessivamente orientata al modello della "vera
democrazia", che in Marx deve essere sostituita e superata dalla "vera
società (senza classi)". Egli non vede l'idea utopica dello sviluppo
complessivo dell'individuo nella sua molteplice particolarità, che Marx
rappresenta negli esempi dello scienziato e del compositore, orientati per così
dire all'ideale rinascimentale, ma parla di un effettivamente problematico "risolversi"
[aufgehen] dell'"esemplare" individuale nella specie"».
Per il resto l'interpretazione di Landshut funge ancora oggi da guida [p. 40].
Fetscher si sofferma ancora sul nesso Marx-Weber - «lo stesso Weber resta
nell'ambito della struttura individuata da Marx ma, e questo per Landshut è
un limite, abbandona il motivo alla base dell'intento conoscitivo marxiano,
che era all'origine di quella concezione complessiva». Più che
un Marx della borghesia - come vuole una lunga tradizione interpretativa, a
dire il vero ormai superata - Weber è allora piuttosto una sorta di "marxista
borghese" [p. 41], al cui sguardo la società attuale - almeno fintanto
che è ancora impegnata nella lotta per affermarsi del tutto - presenta
uno sviluppo non solo tollerabile, ma addirittura piacevolmente progressivo.
Solo al proletariato - che soffre della sua estraniazione - la società
mostra in tutta la sua portata la necessità di una trasformazione. Sono
temi, questi, che accompagnano l'intera produzione di Landshut, che Fetscher
passa a questo punto brevemente in rassegna: del saggio Karl Marx del
1932 Fetscher rileva a ragione come a Landshut sfugga il fatto che, se è
vero che non può essere il singolo individuo membro della società
alienata a realizzare il passaggio alla società liberata, lo stesso non
può dirsi però per il proletariato quale classe unita in soggetto
collettivo pronto all'azione. Per questo nell'interpretazione di Landshut il
superamento dell'alienazione in Marx si riduce all'esito necessario dello svolgimento
oggettivo del processo storico, «il cui compito segreto è produrre
quale suo risultato finale la vera essenza dell'uomo, fare dell'idea la realtà
infinita, e della realtà la ragione compiuta» [p. 44]. Quello di
Landshut è, come si vede, un Marx ancora fortemente hegeliano dal quale,
soprattutto, viene rimosso il riconoscimento del momento attivo della prassi,
sul quale la terza tesi su Feuerbach non lascia dubbi. Nel 1932 Marx è
per Landshut già un classico, e tale resterà anche in seguito:
non il segreto ispiratore del corso della storia o guardiano inconsapevole della
filosofia di stato dei paesi a socialismo reale ma l'uomo e lo studioso che
si è dedicato con tutto il vigore intellettuale di cui era capace alla
ricerca di una via all'emancipazione umana. Le sue speranze sono certamente
andate deluse: nelle moderne società a capitalismo avanzato gli individui
sono alienati oggi più di ieri. Non per questo la politica deve abdicare
al suo compito di porre dei fini comuni e consapevoli nell'interesse dell'affermazione
e della garanzia di una "vita buona": «La si può accusare
di essere un'utopia borghese - conclude Fetscher - ma di fronte al semplice
adeguarsi a tutto quel ci viene offerto, non ha perso nulla della sua forza
persuasiva».
Più brevemente sugli altri contributi alla raccolta: Rainer
Nicolaysen [Von der Leidenschaft des Denkens und der Traurigkeit
in der modernen Welt, pp. 53-66] propone una versione ridotta della sua importante
biografia alla quale rimandiamo senz'altro per una ricostruzione dettagliatissima
della vita di Landshut e per i tanti e importanti riferimenti alla sua attività
intellettuale; Peter Reichel [Politische Aussenseiter
und Avantigardisten. Deutsch-jüdische Sozialisten in der Weimarer Republik,
67-80] si ricollega solo indirettamente a Landshut prendendo in esame la storia
di un gruppo di socialisti tedeschi di origine ebraica durante la repubblica
di Weimar, mentre i tre contributi successivi sono frutto di altrettanti allievi
di Landshut. Degno di rilievo è in particolare quello di Wolfgang
Kessel [Das politisches Gemeinwesen im Denken Siegfried Landshuts,
pp. 81-94], che di Landshut fu a lungo assistente, il quale si sofferma sul
concetto di comunità politica [politisches Gemeinwesen], di
cui abbiamo già rilevato la centralità. Kessel in particolare
ha potuto avvalersi degli appunti inediti di una lezione tenuta durante il semestre
invernale 1958-59. Per gli studiosi una rarità. Heinz-Hermann
Schepp [Über den Zusammenhang von Politik und Pädagogik
bei Siegfried Landshut, pp. 95-106] mette in rilievo il nesso tra pedagogia
e politica nel pensiero di Landshut, fornendo degli spunti illuminanti per comprendere
le ragioni della sua incomprensione di fondo del movimento studentesco, che
nel '68 aveva occupato l'università di Amburgo. Di Dietrich
Hilger (a sua volta tra gli allievi di Landshut e forse tra quelli
che più decisamente ne hanno raccolto l'eredità) è disponibile
un vero e proprio studio sulla Sozialpolitik - Traditionsvermittlung durch Traditionsabbruch
[Politica sociale. Trasmissione della tradizione tramite l'interruzione della
tradizione, pp. 107-124]. In quella che si qualifica come una "critica
positiva" della concezione di Landshut, Hilger affronta la questione della
rottura nella tradizione della politica europea al fine di ridimensionarne in
qualche modo gli esiti e avviare a partire da qui la ricerca di una possibilità
di "ricostruzione" della scienza politica aperta al confronto con
gli sviluppi registrati dal mondo moderno. Politica sociale è teoria
e prassi allo stesso tempo e si autointerpreta come erede più prossima
della filosofia pratica di ascendenza aristotelica: Hilger si inserisce infatti
a pieno titolo nell'ambito della cosiddetta riabilitazione della filosofia pratica,
di cui Wilhelm Hennis (a sua volta allievo di Landshut), Manfred Riedel, Karl-Heinz
Ilting sono stati nel corso degli anni Sessanta i principali promotori. Il sociologo
Sven Papcke [Krise der Kritik - Siegfried
Landshut zu Herkunft und Aufgabe der Soziologie, pp. 125-136] riprende idealmente
gli argomenti della Kritik der Soziologie per mostrare come ancora
oggi la sociologia non possa considerare risolti i problemi che Landshut segnalava.
«La disputa tradizionale sul senso e sui campi di attività di competenza
della sociologia non può dirsi affatto conclusa, così come è
aperto il problema dei suoi risultati» [p. 128]. Questa disputa sembra
suggerire che la sociologia sia una disciplina capace oggi di orientare con
la sua attività lo spirito del tempo: invece non è così
[Ibid.]. «La sociologia non elabora rappresentazioni concrete della società
e delle sue contraddizioni» [p. 129], il sociale quale esperienza vissuta
è sostituito da un modello di società universalmente valido, e
pertanto inservibile. Per questo, vede Papcke, l'obiettivo che la Kritik
der Soziologie perseguiva era quello di riassegnare la sociologia alla
sua origine storica, perché recuperasse la memoria della sua provenienza
da una condizione di crisi, fosse quella della polis, o quella della dissoluzione
dell'universalismo spirituale medievale, o del conflitto tra società
civile e stato assoluto, o di quella tra l'individuo e l'inumanità del
capitalismo. Tuttavia, annota criticamente Papcke, lo stesso Landshut non ha
compiuto il passo decisivo che da una sociologia storica conduce ad un tipo
di storia teorico-sociale, che non si limiti più a scoprire i motivi
nascosti delle relazioni sociali ma si spinga fino a dimostrare la persistenza
delle loro strutture. Questo avrebbe richiesto un programma per una diagnosi
del presente, che Landshut nella Kritik non aveva sviluppato. Pertanto,
nell'impossibilità di passare alla prova dei fatti, lo stesso Landshut
- conclude Papcke - non può fare altro che limitarsi «ad una sorta
di "ecologia storico-ideale della sociologia"» [p. 131].
Nell'intervento a seguire Georg Zenkert [Die
Entmachung der Öffentlichkeit in der Neuzeit, pp. 137-146] si concentra
sulle trasformazioni che hanno interessato il concetto politico di sfera pubblica
dall'ideale classico ad oggi, con particolare riguardo a Hobbes e Rousseau.
Nucleo dell'argomentazione, la contraddizione tra la presenza invadente del
Pubblico da una parte e la sua perdita di potere in generale dall'altra. Zenkert
recupera produttivamente l'analisi di Landshut del concetto di opinione pubblica
- dalla sua affermazione come alternativa alla retorica antica quale principio
orientativo fino al suo ridimensionamento a "veicolo", quindi non
più "principio", delle forme della socializzazione - indicando
nell'idea moderna di sfera pubblica il peso dell'ipoteca di una definizione
ex negativo: la Öffentlichkeit diventa il non-privato, mentre
il privato resta l'ambito privilegiato d'azione del singolo. Quanto più
il non-privato rivendica spazio e potere, tanto più si ridimensiona l'ambito
d'azione; ma quanto più aumenta la partecipazione tanto più si
perfeziona il sistema del dominio razionale. Una via d'uscita non sembra essere
a portata di mano, né tale sembra quella decisionistica indicata da Rousseau:
in una situazione in cui il mondo dell'azione e il sistema degli ordinamenti
e le sfere regionali a identità collettiva vanno sempre più alla
deriva, la sfera pubblica aspetta ancora un nuovo concetto che le renda ragione.
L'economista Birger Priddat [Der Begriff
des Ökonomischen bei Siegfried Landshut, pp. 147-164] si occupa del concetto
di Economico nel pensiero di Landshut alla luce della sua seconda tesi di abilitazione,
presentata nel 1933 e mai discussa, una Historisch-systematische Analyse
des Begriffes des Ökonomischen [Analisi storico-sistematica del concetto
di Economico]. Priddat interpreta - e non a torto- questo studio come una prosecuzione
ideale della Kritik der Soziologie che, dopo il capitolo conclusivo
su Rousseau, «potrebbe proseguire con l'analisi della teoria dell'economia
di mercato di Adam Smith» [p. 158]. Priddat legge infatti il "programma"
di Landshut come il tentativo di revocare la distanza dell'individuo dalla politica,
dalla quale la modernità lo "dispensa". Landshut, sottolinea
Priddat, «parla di una svolta copernicana della coscienza pubblica nella
modernità, "attraverso la quale le speranze e le attese importanti
nella vita dei singoli individui prendono la direzione contraria rispetto agli
ordinamenti e le istituzioni della convivenza. Tutte le categorie che originariamente
definivano il singolo individuo come uomo - libertà, felicità
- assunsero un significato che essenzialmente lo dispensava da tali istituzioni
e, in quanto "prodotto dei suoi rapporti", lo rinviava ad essi per
l'esaudimento delle sue speranze e delle sue aspettative"» [p. 160].
Che poi alla "scienza" dell'economia sia sufficiente un ritrovato
orientamento al "very communitarian", come Landshut auspica per la
politica, per Priddat è poco probabile. In questo senso Landshut resta
quindi un "asymmetrischer communitarian" [p. 160]. L'intervento di
Priddat si segnala per la luce che getta su quel nucleo di argomenti che catturarono
già il giovanissimo Landshut (che si dedicò alla filosofia dopo
aver concluso gli studi di economia) e che ritornano - come si è visto
- sotto le forme più diverse e in diversi ambiti disciplinari e se ne
consiglia pertanto la lettura a chi voglia provare a districarne la trama. Chiude
il ciclo di interventi il politologo Udo Bermbach [Einige
Fragen zu Landshuts Politikverständnis, pp. 165-173], che tenta di rispondere
alla domanda sulla possibilità di riattivazione delle categorie classiche
del pensiero politico per i problemi del presente. La risposta di Brembach è
decisamente negativa, e la critica a Landshut è a tratti ingenerosa,
quando ad esempio lo accomuna a Lukács nell'accusa di «aristotelismo
di sinistra» [p. 171] o ne fa un nostalgico della polis.
Il libro, lo abbiamo già detto, è corredato da una scelta di
documenti biografici, tra cui lettere e documenti che testimoniano dei momenti
più difficili della vita del giovane Landshut all'avvento del nazionalsocialismo.
Tra questi la comunicazione ufficiale del Decano dell'università di Amburgo
- siamo nel 1933 - della revoca della discussione della tesi di abilitazione
"alla luce della mutata situazione" e una lettera ad un amico da Alessandria
(Egitto) di pochi mesi dopo, in cui Landshut si chiede come Heidegger abbia
potuto farsi illudere al punto di prendere l'intervento militare per una commedia
[p. 183, Documento 5]. Ultimissima, chiude il volume una breve nota biografica
che aiuta il lettore ad orientarsi nelle vicende personali che hanno costretto
Landshut all'esilio, e in quelle intellettuali che ne hanno fatto un pensatore
per tanti versi isolato e, almeno fino a poco tempo fa, in gran parte sconosciuto.
Udo Bermbach insegna dal 1971 Scienza politica
all'università di Amburgo. Ha scritto sui problemi del parlamentarismo,
sulla teoria dei partiti, sul pensiero politico e sulla teoria politica della
modernità. Ha pubblicato Demokratietheorie und politische Insitutionen
(1991) e Wo Macht ganz auf Verbrechen ruht. Politik und Gesellschaft in
der Oper (1997).
Klaus von Dohnanyi, dal 1981 al 1988 primo
sindaco di Amburgo, dal 1990 impegnato in varie attività di ricostruzione
nella Germania orientale nell'ambito delle competenze dell'Istituto federale
per la ricostruzione. Tra le sue pubblicazioni Das deutsche Wagnis
(1990) e Im Joch des Profits? Eine deutsche Antwort auf die Globalisierung
(1997).
Shmuel N. Eisenstadt, dal 1959 al 1990 ha
insegnato Sociologia alla Hebräischen Universität di Gerusalemme,
è stato diverse volte, in veste di professore ospite, a Chicago, Harvard,
Stanford, New York, Paris, London, Oslo, Zurigo, Vienna e Heidelberg. Tra le
tante pubblicazioni, in lingua tedesca sono disponibili Tradition, Wandel
und Modernität (1979), Die Tranformation der israelischen Gesellschaft
(1987), Die Antinomie der Moderne. Die jakobinischen Grundzüge der
Moderne und des Fundamentalismus (1998).
Iring Fetscher, dal 1963 al 1988 ha insegnato
Scienza della politica alla Goethe-Universität di Francoforte sul Meno,
più volte professore ospite a New York e Tel Aviv, membro di diversi
istituti di ricerca a Canberra e Cassenaar. Tra le tante pubblicazioni, Marx
e il marxismo (Firenze 1969), il Pipers Handbuch der politischen Ideen
(1985-1993), Überlebensbedingungen der Menscheit. Ist der Forschritt
noch zu retten? (1991), "Wollt ihr den totalen Krieg?",
nonché la direzione della rivista Marxismusstudien. Recentemente
ha curato l'edizione degli scritti di Marx ed Engels Studienausgabe in 5
Bänden (2004).
Dietrich Hilger ha studiato con Landshut fino
al 1957, dal 1970 al 1980 ha insegnato Storia sociale e economica all'università
di Amburgo. Ha pubblicato Edmund Burke und seine Kritik der Französischen
Revolution (1960), Die Eigentumslosen. Der deutsche Pauperisums und
die Emanzipationskrise in der Darstellungen und Deutungen der zeitgenössischen
Literatur (1965), oltre a numerosi contributi a diversi Lexicon.
Wolfgang Kessel, allievo di Landshut, poi
suo assistente, dal 1966 politicamente impegnato nelle attività del Bundestag.
Ha pubblicato diversi studi sul parlamentarismo e sulla storia del parlamento.
Rainer Nicolaysen ha collaborato dal 1989
al 1991 aal progetto "ENGE ZEIT. Spuren Vertriebener und Verfolgter der
Hamburger Universität" [Tempo di penuria. Tracce degli espulsi e dei
perseguitati dell'università di Amburgo], nel 1996 ha discusso la tesi
di dottorato poi pubblicata come Siegfried Landshut. Die Wiederentdeckung
der Politik. Eine Biographie (1997), dal 1998 è ricercatore presso
l'Istituto di storia dell'università di Amburgo, nel 2004 ha curato la
selezione di scritti di Siegfried Landshut Politik. Grundbegriffe und Analysen
(Verlag für Berlin-Brandenburg, Berlin 2004).
Sven Papcke dal 1974 insegna Sociologia presso
l'università di Münster. Si è occupato in particolare di
storia della sociologia, di sociologia politica, del movimento dei lavoratori
e di sociologia della cultura. Ha pubblicato, tra i suoi studi, Gesellschaftsdiagnosen.
Klassische Texte der deutschen Soziologie im 20. Jahrhundert (1991), Deutsche
Soziologie im Exil. Gegenwartsdiagnose und Epochenkritik 1933-1945 (1993),
Humanistische Traditionen der Soziologie und ihre Widersacher (1999).
Birger P. Priddat insegna dal 1991 Filosofia
e economia politica alla Privatuniversität di Witten / Herdecke (dal 1995
è decano). Si è dedicato soprattutto a studi di economia istituzionale,
di storia delle teorie economiche, di etica economica, metodologia dell'economia
e filosofia. Tra le pubblicazioni ricordiamo Moralischer Konsum. 13 Lektionen
über Käuflichkeit (1998), Theologie, Ökonomie, Macht.
Eine Rekonstruktion der Ökonomie John Lockes (1998).
Peter Reichel insegna dal 1983 presso l'Istituto
per la scienza politica dell'università di Amburgo. Tra i suoi scritti
Der schöne Schein des Dritten Reiches. Faszination und Gewalt des Faschismus
(1993), Politik mit der Erinnerung. Gedächtnisorte im Streit um die
nationalsozialistische Vergangenheit (1995, ripubblicato nel 1999).
Heinz-Hermann Schepp, allievo di Landshut,
dal 1964 al 1993 professore di Pedagogia generale e formazione degli adulti
all'università di Gottinga. Ha studiato in particolare questioni relative
alla pedagogia storica e sistematica e alla formazione politica. Ha pubblicato
tra l'altro Pädagogik und Politik (1990) e Die Schule in Staat
und Gesellschaft (1993).
Georg Zenkert insegna dal 1996 Filosofia pratica
alla Pädagogischen Hochschule di Heidelberg. Si è occupato di filosofia
politica e ha pubblicato, tra i suoi studi, Konturen praktischer Rationalität.
Die Rekonstruktion praktischer Vernunft bei Kant und Hegels Begriff vernünftiger
Praxis (1989), Macht und Meinung. Die rethorische Konstitution der
politischen Welt (1992).
[Le informazioni qui riportate sono ricavate pressoché interamente da
Polis und Moderne, Verfasserverzeichnis, pp. 213-215]
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