Il tema della comunicazione è stato ormai affrontato da diverse discipline e da diversi punti di vista: sociologico, economico e psicologico. Tuttavia, quanto accomuna questi approcci è il non essersi occupati sufficientemente dei principi che sono alla base della comunicazione. Affrontare la comunicazione da un punto di vista filosofico significa, in primo luogo, operare una distinzione tra un modello ingenuo ed ordinario della comunicazione, che investe noi esseri umani e che si manifesta nella tendenza ad orientare i nostri comportamenti verso i più svariati obiettivi, e le radici concettuali della comunicazione stessa. Questo è l’intento che si propongono Claudia Bianchi e Nicla Vassallo, curatrici del volume Filosofia della comunicazione (Laterza, 2005, pp. 175), in cui rivendicano la necessità di indagare la comunicazione attraverso gli strumenti dell’analisi concettuale e filosofica. Entrambe partono dal presupposto che «il vantaggio di noi esseri umani […] consiste nel fatto che […] disponiamo del linguaggio inteso in senso vero e proprio, e ne disponiamo in modo estremamente raffinato» (p. x).
I sette saggi che compongono il volume mostrano le articolazioni di questa abilità che caratterizza la nostra specie e concorrono ad indirizzarsi alle condizioni di possibilità della comunicazione.
Il testo si apre con una riflessione di natura empirica sulla comunicazione: Moro guarda ai rapporti che intercorrono tra sintassi, «l’informazione veicolata dalla composizione delle parole» (p. 3), e comunicazione. La lezione sull’autonomia della sintassi di Noam Chomsky, integrata con i dati sperimentali delle tecniche di neuroimmagine, mostra che «la comunicazione viaggia entro i binari della struttura biologica» (p.15). Sebbene il carattere restrittivo ed innato delle regole della sintassi possa rappresentare un vantaggio per quel che riguarda l’apprendimento di una lingua, tuttavia ciò non vale del tutto per la comunicazione, che può fare uso di svariate combinazioni: lo dimostra la scelta relativa all’impiego di frasi attive o passive, legata a scopi pragmatici.
Lungi dal considerare la comunicazione come veicolo di informazioni, il volume propone delle ipotesi teoriche alternative alle teorie semantiche tradizionali: le frasi rappresentano gli stati di cose del mondo ed il significato della frase è dato dall’insieme delle sue condizioni di verità. Negli scambi comunicativi noi esseri umani non sempre individuiamo il referente nel mondo, così come non attribuiamo contenuti agli enunciati a prescindere dalle intenzioni del parlante. Conoscere il significato letterale che le parole compongono è una condizione necessaria, ma non sufficiente per la comprensione, come sottolinea Eva Picardi: «per capire il pensiero espresso in una determinata circostanza non basta conoscere il significato delle parole, ma occorre sapere qualcosa sulle circostanze in cui le parole sono prodotte, sull’identità del parlante, sulle intenzioni referenziali e identificative di parlante e ascoltatore» (pp. 23-24).
Interrogarsi sulla comunicazione significa cercare di individuare la natura dei vincoli ad essa soggiacenti: se, da un lato, le regole della sintassi costituiscono «gli schemi entro i quali le parole assumono dei valori che le mettono in relazione l’una all’altra» (p. 4) dall’altro, vi sono dei vincoli di diversa natura che regolano gli scambi comunicativi tra gli interlocutori. E’ a partire da un’indagine sulla natura dei vincoli che è possibile considerare la comunicazione come un’attività tipicamente umana in cui la dimensione inferenziale si intreccia con quella sociale. La comunicazione, costituita dall’espressione e dal riconoscimento di intenzioni, è un’attività di collaborazione, come sottolinea Claudia Bianchi nel suo saggio, laddove il contesto linguistico ed extralinguistico danno corpo al carattere condiviso dell’informazione. Emerge il primato del principio di cooperazione di Grice, nonché delle sue recenti declinazioni come il principio di pertinenza e quello di responsabilità, che regola le aspettative che un parlante può intrattenere sul suo interlocutore: «Ciascuno è […] responsabile del fatto di consentire agli altri di seguire la conversazione […] la manifestazione della comprensione, o della mancanza di comprensione, da parte del destinatario consente al parlante di correggere e “riaggiustare” i propri proferimenti» (p. 65). Sullo sfondo del principio di cooperazione, la comunicazione è, nondimeno, un’impresa di tipo epistemico, come la caratterizza Nicla Vassallo. Al fine di acquisire conoscenza facciamo riferimento alle interazioni comunicative con gli altri. La testimonianza gioca un ruolo centrale nella comunicazione come attività epistemica: proprio perché gli esseri umani sono creature che agiscono in un terreno sociale hanno una predisposizione psicologica ad accettare la testimonianza altrui. Tuttavia, «non ci interessa quanto facciamo di fatto- psicologicamente- ma quanto dovremmo fare al fine di ottenere credenze giustificate» (p. 144). L’individuazione delle buone ragioni di quanto ci viene comunicato ci orienta verso l’accettazione di credenze vere piuttosto che false: è proprio questo che consente di distinguere una comunicazione buona da una cattiva.
Anche un discorso argomentativo, stando a quanto emerge dal contributo di van Eermen e Houtlooser, deve fare appello ad un criterio di ragionevolezza che regola la relazione tra due interlocutori che compiono delle mosse strategiche, volte a soddisfare i loro interessi nel modo migliore: «dalla selezione del “potenziale topico” disponibile a un certo stadio di discussione, all’adattamento alla prospettiva del pubblico, alla scelta dei mezzi di presentazione» (p. 131).
I saggi di Ferraris e di Volli dedicati ad un’indagine sulla comunicazione, rispettivamente, dal punto di vista ermeneutico e semiotico, rivolgono l’attenzione a quelle situazioni in cui non si ha direttamente a che fare con l’intenzione del parlante: emblematico è il caso in cui ci troviamo in presenza di testi che rappresentano dei dispositivi sociali. In queste situazioni emerge il tratto costitutivo della comunicazione, attività mediata dal senso e che, nello stesso tempo, lo produce: «il linguaggio non si limita a dare una veste sensibile alle idee, ma piuttosto crea delle cose che non ci sarebbero senza di esso» (p. 96). Noi esseri umani, infatti, produciamo senso quando usiamo il linguaggio per parlare di ciò che non c’è: «l’interno del testo, il suo senso, il “mondo possibile” che esso crea, non è vincolato ad alcuna continuità logica con il mondo reale in cui l’emittente l’ha costituito, né con quello in cui il destinatario lo riceve. Esso contiene, in linea di principio, un tempo e uno spazio altri» (p. 82).
Il libro affronta il problema della comunicazione mostrando il pregio di muoversi entro i confini dei vari settori filosofici, ma, nel contempo, superando la loro eterogeneità di fondo per convergere ad un atteggiamento filosofico unitario che considera il linguaggio come quell’abilità specie-specifica che permea l’organizzazione della nostra realtà sociale.
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