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Immanuel Kant, Primi principi metafisici della dottrina del diritto.
Laterza, 2005

di Giovanni Cogliandro

Prosegue con questa opera la meritoria serie di classici dei filosofia che l’editore Laterza propone in versione economica. Questo non inficia certo la qualità dei testi in questione, che vengono offerti in originale testo a fronte e corredati da apparato di note e prefazione ragionata.
Gonnelli cura la prima parte della ben nota Metafisica dei costumi, riprendendo il testo critico edito dall’Accademia delle scienze di Berlino e confrontandolo con la prima edizione del 1797, verificando le varianti tra quanto fu recepito dai contemporanei di Kant e l’edizione critica.
L’opera del volume in esame fu pubblicata al principio del 1797, probabilmente a gennaio, mentre ad agosto apparvero a stampa i Primi principi metafisici della dottrina delle virtù. Queste due sono parti di un’opera che non ebbe mai edizione unitaria durante la vita di Kant, ma vanno a formare in ogni caso il sistema della filosofia pratica quale si costituisce nella fase seguente la fondazione di questa stessa filosofia pratica. I fondamentali intenti di Kant in questa opera della maturità possono essere riassunti, come fa Gonnelli, in questo modo: in primo luogo presa di posizione nei confronti del nuovo diritto naturale di elaborazione tedesca. Quindi centrale è poi l’istanza di accoglimento della nuova filosofia nella strutturazione della teoria del diritto. A ciò segue la ricezione delle tematiche proprie dei giacobini, criticandone l’eudaimonismo e l’empirismo. Dal punto di vista sistematico infine centrale si mostra la definizione di un nuovo dominio delle leggi pratiche.

Kant com’è noto ritiene che la rivoluzione francese apra una nuova epoca nella storia del mondo, e dietro di lui saranno in molti a celebrare la rivoluzione stessa: Fichte in particolare la esalterà nei suoi primissimi scritti filosofici dal punto di vista del diritto naturale dei popoli a ribellarsi contro un sovrano ingiusto. Kant critica la tesi di Achenwall sul diritto di resistenza: questo pensatore riprendeva a sua volta una tesi di Grozio, il quale riteneva che solo nei casi in cui il sovrano avesse commesso una ingiustizia universalmente riconosciuta e verso tutti i cittadini si sarebbe potuto deporlo legittimamente: tale tesi è risalente, si ricollega alla difesa delle prische libertà contro il potere centrale, sempre guardato con sospetto dai fautori del diritto naturale. Kant argomenta contro il diritto di resistenza, e, come nota Gonnelli (p. XXXIV), questa sua condanna è stata dimostrata recentemente essere indirizzata verso le reazioni dei nobili e della Vandea nei confronti del nuovo potere centrale. Le antiche libertà dimostravano quindi la loro facile strumentalizzabilità e il loro possibile uso reazionario, almeno nella ricostruzione che ne dà Kant. L’atto rivoluzionario di cessione del potere è stato compiuto dallo stesso sovrano nel momento in cui ha convocato gli Stati Generali, unica sovranità legittima perché rappresentativa pienamente. Questa “riforma radicale” rievoca in Kant la riforma luterana, un metodo auspicabile per le trasformazioni delle costituzioni in generale. La discussione sulla giustificazione della rivoluzione è lunga e complessa, e impegnerà i maggiori ingegni nel rispondere alle note tesi dio Burke, e alle ben più radicali critiche filosofiche e teologiche di de Maistre, che riteneva la Rivoluzione un male che Dio ha permesso avvenisse. 

Alle Reflections on the Revolution in France, composte da Burke alla fine del 1790, che Frederich von Gentz tradusse l’anno dopo in tedesco, rispose Fichte, attaccandone le tesi per il tramite degli emuli tedeschi di questo come il Rehberg. Questi infatti compose una serie di articoli che vennero pubblicati prima sulla Jenaische Allgemeine Zeitung, dal 1790 al 1793, e poi vennero rielaborati e pubblicati con il titolo di Untersuchungen über die französische Revolution nel 1793 [Il titolo completo è A. G. Rehberg, Untersuchungen über die französische Revolution nebst kritischen Nachrichten von der merkwürdigsten Schriften welche darüber in Frankreich erschienen sind, editore Chr. Ritscher, Hannover & Osnabrück, 1793]. Hegel pose di lì a poco la questione della saggezza della rivoluzione, questione ulteriore rispetto alla sua semplice giustezza. Fichte esalta la fine dei privilegi e dell’oscurantismo, Hegel mostra come dall’eliminazione di questi limiti possa scaturire una libertà solo negativa: libertà negativa dell’individuo, in quanto semplice assenza di costrizione e indifferenza verso l’eticità che sta solo nella collettività; libertà negativa di un intero stato, che risulta governato da una fazione sola, che si sente giustificata a tiranneggiare sulle minoranze.
Risolto con Fichte il problema della giustificazione giuridica dei fondamenti storici della società contemporanea, entrambi i filosofi lasciano aperto il problema della sua saggezza. Tutto questo però esula dalla trattazione kantiana, che si volge a una sistematica del diritto, a partire dalla sua ripartizione in diritto pubblico e privato. Il diritto privato viene ricostruito secondo le universalissime categorie di modalità, la cui centralità difficilmente si potrebbe esagerare nel contesto della filosofia seguente alla matura scolastica: anzi questa scelta ci conferma nella nostra interpretazione che vede la modalità come fuoco centrale del costituirsi del pensiero moderno, cioè post-aristotelico, pensiero che però inizia già nella scolastica stessa, in alcuni autori ben consci delle tensioni di quel sistema.

Il possesso è la condizione di possibilità del diritto, l’acquisto ne costituisce la realtà, la sentenza ne implica la necessità. E’ questa una nozione dinamica e genealogica della categorie modali, che vengono utilizzate nella loro sequenza a costituire il sistema. Da queste categorie utilizzate per la sistematica del generalissimo diritto civile o privato si muove quindi alla ricostruzione del diritto pubblico, utilizzando quindi le categorie di quantità: il diritto dello stato rappresenta la singolarità, lo ius gentium si applica alla pluralità degli stati, il diritto cosmopolitico rappresenta l’universalità. Quest’ultimo mostra così la sua anteriorità concettuale nei confronti del diritto dei popoli: esso è "il risultato dell’intera struttura della dottrina del diritto: è il concetto di storia universale fondato sul concetto di diritto” (p. XXXII). L’unione dei popoli auspicata per la prima volta nelle Idee per una storia universale. trova qui il suo primo utilizzo sistematico: da questa discende la decisa condanna del colonialismo, una delle tante prove dell’attualità di questo scritto kantiano.

PUBBLICATO IL : 04-06-2006
@ SCRIVI A Giovanni Cogliandro
 

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