Lo sguardo di Mosè raffigurato nel particolare della statua riportato
in copertina e lo sguardo di Freud che intitola il primo dei tre capitoli di
cui consiste il libro di Francesco Saverio Trincia, "Freud e il Mosè
di Michelangelo", edito per la casa editrice Donzelli, introducono quel
tema del "guardare" come "scoperta dell’esterno, attenzione
al vedere e al visibile, alla materialità osservabile di ciò che
si mostra allo sguardo" (p.4) su cui poggia la possibilità di un’interpretazione
del pensiero di Freud proprio dal punto di vista del "vedere" e dello
"sguardo di Freud". "Sguardo di Freud", dunque, che permette
all’A. di riportare l’attenzione su due tesi fondamentali: da una
parte, la comune radice di osservabilità di conscio e inconscio, cioè
la possibilità di essere anche il secondo, come il primo, leggibile nell’esterno
(come avente una qualche dimora nella corporeità); dall’altra,
una idea di psicologia "come analisi che procede "soggettivamente"
tenendo rigorosamente ferma la "prima persona" dell’indagatore,
e vietandosi di fare della psiche una soltanto oggettiva "terza persona""
(p.4). La discussione del saggio di Freud sul Mosè di Michelangelo –
pubblicato anonimo sulla rivista Imago nel 1914 e legittimato solo un decennio
più tardi, nel 1924 – diviene, in questo modo, l’occasione
emblematica per constatare la praticabilità e la sensatezza di queste
due tesi, oltre che "per comprendere il rapporto tra l’universo concettuale
e interpretativo psicoanalitico e ciò che resta programmaticamente estraneo
ad esso, appunto in quanto si inscrive nel solo ambito del conscio" (p.5).
Del resto, è proprio la scelta freudiana di mantenersi, in questo saggio,
solamente nell’ambito del conscio, che motiva, a sua volta, la scelta
dell’A. di interpretare un testo che si distingue, dalla restante produzione
analitica freudiana, proprio per la sua marcata non analiticità.
In base alle due tesi sopra esposte, dunque, prende corpo una ipotesi interpretativa
che considera la fisionomia del pensiero freudiano tanto più autentica
quanto meno oggettivistica e naturalistica. "La centralità dell’osservare
appartenente ad uno sguardo che produce risultati scientifici in quanto è
originariamente uno sguardo fisico" - e di conseguenza categoricamente
soggettivo - comporta il fondamentale divieto "di reificare il pensiero
freudiano in una serie di proposizioni scientifiche, neutre, oggettive e dunque
oblianti la propria origine visiva, fisica e soggettiva" (p.12). Infatti,
"lo "sguardo di Freud" - scrive l’A. - non è pensato
qui come lo sguardo in Freud, nel pensiero di Freud, come lo sguardo o la vista
di cui Freud ha parlato" (p.14). Lo "sguardo di Freud" è
lo sguardo dell’uomo Freud che "scrive avendo osservato e continuando
ad osservare, ossia lasciando continuamente acceso un "vedere" attuale
che non si cristallizza mai in un categoriale e filosofico "aver visto""
(p.17). "Ciò che in questo modo viene imposto all’interprete
- dice Trincia - è il passaggio dallo sguardo come tema di Freud allo
sguardo come soggettività di Freud" (p.22), conformemente all’importanza
che Freud assegnava non tanto al tema del vedere, quanto piuttosto a quello
del proprio soggettivo vedere. Tutto ciò motiva da parte di Trincia,
come già si diceva, una scelta di testi che rimangono "al di qua"
dell’universo delle categorie psicoanalitiche, come le lettere giovanili
all’amico Eduard Silberstein (analizzate nel secondo capitolo di questo
libro) e soprattutto il Mosè di Michelangelo del 1914. A questo punto,
secondo Trincia, il noto rifiuto freudiano della filosofia e la potenza soggettiva
dello sguardo costituiscono i due aspetti della stessa sfida che lo sguardo
di Freud rivolge al pensiero filosofico: "il tentativo di pensare un vedere
conoscitivo che non si risolve nel suo necessario fondamento empirico, senza
peraltro dissolversi nell’oggettività di un sistema" (p.14).
Nell’analisi del saggio freudiano del 1914 Trincia individua, dunque,
nella sospensione dell’interpretazione analitica e dell’intervento
dell’inconscio che vi si realizza, "l’altro", cioè
il conscio oggetto della psicologia e della razionalità filosofica, con
il quale la psicoanalisi, proprio in quanto scienza dell’inconscio, deve
programmaticamente e costitutivamente fare i conti. La permeabilità orizzontale
di conscio e inconscio sulla base della comune radice di osservabilità
materiale e corporea di entrambi, colloca la psicoanalisi proprio sul limite
che insieme separa e unisce i due territori della psiche, senza che l’indagine
psicoanalitica sull’inconscio abbia la prevalenza esclusiva (deterministica
e positivistica, e infine riduzionistica) sulla coscienza, che dal suo "altro"
verrebbe, in questo caso, completamente determinata (e in fondo, col suo "altro"
identificata). Riassumendo: la duplicità che si compone di conscio e
inconscio, di empirico e oggettivo, non risulta una cattiva ambiguità,
bensì indica la condizione e lo spazio su cui solamente può riposare
il produttivo svolgimento della scienza psicoanalitica, proprio perché
non si isola nella sua sterile analiticità. L’interpretazione filosofica
dell’opera freudiana è chiamata, dunque, - secondo Trincia - "ad
indagare l’inconscio come fenomeno la cui genesi affonda le proprie radici
nella soggettività osservante di Freud - e non si riduce perciò
ad essere il segmento oggettivo di una teoria scientifica istituzionale. Assumere
una posizione di questo tipo significa indagare il sapere psicoanalitico dal
limite che lo circoscrive e lo isola da altri saperi, ma al tempo stesso lo
correla ad essi, e consente la costruzione di una prospettiva critica che prende
le mosse al di qua della teoria istituzionalizzata" (p.40).
Accade ora che gli elementi teorici sottolineati nel primo capitolo di questo
libro, appena analizzato, vengano forniti di senso e concretizzati attraverso
il diretto confronto interpretativo con la scrittura freudiana del 1914. Trincia
vi procede nel terzo e conclusivo capitolo, a cui segue in appendice proprio
il testo originale del Mosè di Michelangelo. La soggettività interpretante
di Freud, l’interpretazione diretta a rilevare le intenzioni consce di
Michelangelo e la potente razionalità di Mosè, la visibilità
come imprescindibilità di un "vedere" la statua sono i tre
aspetti fondamentali che vengono verificati "interpretando" l’interpretazione
freudiana nel saggio mosaico. "E’ solo in un tale confronto - scrive
Trincia - che la presenza visiva dell’opera d’arte accanto al testo
freudiano si mostra come una condizione imprescindibile per "capire":
per capire quel che Freud ha scritto, ma anche per interpretare la sua stessa
interpretazione" (p.57). Ed è, dunque, proprio la circostanza che
il rapporto di Freud con Mosè (quello di Michelangelo) è di tipo
psicologico (soggettivo), non di tipo psicoanalitico (non oggettivo, non scientifico)
che definisce la caratteristica principale del saggio, che vale qui ancora la
pena di riassumere e ribadire: "l’interpretazione psicologica di
Mosè e di Michelangelo si svolge totalmente sul piano del conscio, dell’esplicito,
di ciò che è visibile e deve essere interpretato nella sua visibilità[…],
ossia a partire da quest’ultima e restando nel suo ambito,[…] escludendo
cioè il rinvio psicoanalitico al piano dell’inconscio" (p.64).
Dall’analisi minuziosa del "visibile" nella statua, e non da
altro, dunque, Freud pone la premessa generale e fondamentale della sua tesi
sul Mosè michelangiolesco: "la statua non rappresenta il Mosè
furioso della tradizione biblica, ma il Mosè eroicamente umano, che ha
controllato le proprie passioni e l’affetto che avrebbero travolto un
uomo comune" (p.69). In questa premessa della lettura freudiana, perciò,
si produce l’esibizione di quella duplicità della scienza psicoanalitica
che ora si manifesta in uno dei suoi aspetti essenziali: essa, infatti, non
concerne unicamente il destino e la natura della scienza psicoanalitica, bensì
anche l’identità dell’ "ebreo ateo" Freud. L’infedeltà
freudiana non è infatti perpetrata nei soli confronti della psicoanalisi,
ma consiste anche in quella ipotesi interpretativa che "cancella il Mosè
della tradizione, "uomo iracondo e soggetto agli impeti della passione""
(p.84). Il tema dell’identità ebraica di Freud risulta a questo
punto centrale e saldata a quella della psicoanalisi, e il tema del "conflitto
identitario" diviene il modo attraverso cui Trincia vede raccogliersi i
motivi emergenti dall’analisi del testo freudiano del 1914: Freud e l’ebraismo,
Freud e la psicoanalisi. Sul modello di una "doppia infedeltà",
la soggettiva condizione emotiva che accompagna e determina l’interpretazione
freudiana del Mosè viene radicata nella genesi e nello svolgimento dell’argomentazione
scientifica oggettiva, esibendo, ancora una volta, la coalescenza strutturale
e simbiotica di soggetto e oggetto, di coscienza psicologica e di inconscio
psicoanalitico. Doppia infedeltà, abbiamo detto: quella nei confronti
di un Mosè " "trasformato" - da Michelangelo - nel suo
carattere rispetto al racconto biblico" (p.84), e quella, principale, nei
confronti della psicoanalisi, in quanto scorge, "in questa rappresentazione
infedele di Mosè […] quella suprema "spiritualità"
di un agire soggiogante le passioni, di cui la psicoanalisi, in quanto tale,
non può parlare" (p.84).
In questo modo il rapporto di Freud con il Mosè di Michelangelo rappresenterebbe
(e questa è solo una delle chiavi interpretative che Trincia svolge,
sebbene quella più importante) la stessa liminarità e conflittualità
identitaria che riposa produttivamente in seno alla scienza psicoanalitica.
In questa vittoria della razionalità sulla irrazionalità, della
dimensione conscia su quella inconscia, "il saggio resta non psicoanalitico,
esso abbandona suo padre – come gli ebrei abbandonarono Mosè -
per tornare alla psicologia della coscienza, alla ragione dei filosofi che controlla
comunque la passione, dato che questa è la definizione filosofica della
ragione" (p.72). Perciò: "il saggio mosaico del 1914 consentirebbe
di indagare uno dei luoghi dell’opera di Freud in cui la psicoanalisi
esibisce l’esistenza di un altro da sé, che pur essendo scienza,
ragione scientifica, o, comunque, sapere, non è tuttavia scienza psicoanalitica
[…]. Si avrebbe in tal modo una dualità tra sapere psicoanalitico
e sapere non psicoanalitico: i due saperi sarebbero per così dire entrambi
egualmente legittimati ad interpretare lo stesso ambito tematico (quello della
soggettività psicologica) e la psicologia, o la filosofia, coesisterebbero
alla psicoanalisi senza più trovare in quest’ultima il proprio
fondamento di verità, come Freud ha ritenuto che dovesse accadere in
conseguenza della rivoluzione psicoanalitica" (p.83).
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