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Giovanni Carrozzini, Gilbert Simondon: per un’assiomatica dei saperi. Dall’“ontologia dell’individuo” alla filosofia della tecnologia.
Manni, 2006

di Dario Cecchi

Il giovane studioso Giovanni Carrozzini ha pubblicato, per i tipi della Manni, la prima monografia italiana su un filosofo contemporaneo ancora poco conosciuto: Gilbert Simondon (1924-1989). Questo epistemologo francese, formatosi alla scuola di Canguilhem, ha elaborato una notevole teoria della tecnica, degna di essere messa accanto a quelle di pensatori come Heidegger o Gehlen, ed una, in parte meno attuale, teoria dell’individuazione psico-sociale. La fatica di Carrozzini è pertanto meritevole, perché contribuisce a promuovere in Italia l’interesse per un autore la cui ricezione è spesso mediata dalla lettura di filosofi maggiormente noti (Deleuze, Foucault), che si sono confrontati con il lavoro di Simondon. Non è solo in Italia che Simondon è poco conosciuto: anche se più studiato, nemmeno in Francia è considerato un classico della filosofia del ‘900 e solo negli ultimi anni questo nome è diventato familiare nel dibattito filosofico, grazie anche a Bernard Stiegler, filosofo della tecnica, allievo di Derrida.
Il libro di Carrozzini s’intitola Gilbert Simondon: per un’assiomatica dei saperi. Sottotitolo: Dall’“ontologia dell’individuo” alla filosofia della tecnologia. È evidente la scelta di leggere uno sviluppo nel pensiero di Simondon, ponendo la tecnica come punto d’arrivo. È un’ipotesi che trovo condivisibile, ma valida solo sul piano teoretico e non su quello cronologico, perché le tre opere fondamentali di Simondon, Du mode d’existence des objets techniques (1958), L’individu et sa genèse psycho-biologique (1964) e L’individuation psychique et collective (1989, l’unica opera di Simondon tradotta in italiano da Paolo Virno per Deriveapprodi), sono il risultato di due tesi di dottorato, svolte parallelamente dal filosofo francese.
Carrozzini sceglie un punto di vista molto interessante, a partire dal quale perlustrare il pensiero di Simondon: si tratta dell’interesse di Simondon per l’Illuminismo dell’Encyclopédie. Per Simondon gli encyclopédistes hanno compreso l’importanza della tecnica all’interno del sapere umano. Il loro progetto non andrebbe interpretato come una raccolta sistematica del sapere umano, ma come un impulso ad una “alfabetizzazione” tecnica generalizzata. Punto di vista molto interessante, perché offre l’occasione a diverse riflessioni: il ripensamento, ad esempio, della categoria storiografica di Illuminismo, che potrebbe fornire lo spunto per un confronto tra la posizione di Simondon e l’interpretazione etico-politica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer.
La ricostruzione del contesto epistemologico in cui si muove Simondon (l’epistemologia di Bachelard e Canguilhem e le sue radici bergsoniane)  è ottima, meno quella del contesto filosofico in genere, laddove la ricostruzione dei rapporti con un filosofo del calibro di Maurice Merleau-Ponty avrebbe necessitato di una presentazione più dettagliata, in grado di mettere in luce meglio il pensiero dell’eminente fenomenologo. Si potrebbe osservare in questo senso che il tentativo di rileggere l’epistemologia di Simondon all’interno di un più generale ripensamento dell’impostazione scientifica galileiano-cartesiana appare a volte troppo generico.
Carrozzini rilegge tutta l’opera di Simondon, suddividendo il suo libro, dopo un capitolo introduttivo, in due capitoli: il primo dedicato alla teoria dell’individuazione psico-sociale ed il secondo alla tecnica. La scrittura si fa più fluida e la comprensione più chiara con il procedere dell’argomentazione. Il capitolo sulla tecnica è il più nitido. Non è indifferente la fatica di presentare in un’unica opera tutto il pensiero di Simondon, scrittore a volte criptico e incline a servirsi (con perizia) dei tecnicismi propri delle materie che trattava.
Manca a sostenere il lettore un’ipotesi di fondo. L’idea che sia in gioco l’affermarsi di un “neo-enciclopedismo” è troppo debole, perché non mostra sufficientemente l’attualità del pensiero di Simondon, che non si limita ad essere uno storico della scienza. Se anzi un aspetto del pensiero di Simondon è invecchiato, è proprio il suo tentativo di realizzare un’ipotesi generale sullo sviluppo del sapere umano, in cui si svolge un’interpretazione della magia, della religione e dell’estetica come modi fondamentali dell’esistenza umana accanto alla tecnica. Costruire l’approccio a Simondon supponendo un impianto sistematico del suo pensiero non rende sempre merito a questo pensatore.
L’originalità della teoria della tecnica di Simondon consiste nel fatto – Carrozzini lo mostra bene – che la tecnica, come modo di conoscenza, lascia emergere i rapporti sussistenti tra i diversi materiali, tra le diverse fonti di energia e tra l’uomo e la materia. Questi rapporti sussistono già da prima, non è la tecnica a crearli, ma senza l’operare tecnico non emergerebbe la possibilità per tutte queste forze di concretizzarsi in «ambienti associati».
Gli oggetti tecnici di cui parla Simondon sono perciò diversi dagli oggetti della scienza, isolabili dalla realtà in virtù di una rappresentazione del soggetto. L’oggetto tecnico non è né oggetto di conoscenza scientifica né mero strumento, ma fa della tecnica un modo di conoscenza autonomo, accanto a quello scientifico. Il suo fine non è la scoperta di leggi, come nella scienza, ma la definizione dei processi d’individuazione. Il tema dell’individuazione mi sembra il filo conduttore, non pienamente esplicito, a partire dal quale Carrozzini ricostruisce il pensiero di Simondon.
L’analisi dei processi d’individuazione è centrale anche nella riflessione psico-sociale di Simondon. In tale ambito la possibilità che delle forze convergano a formare un individuo è regolata da quella che Simondon definisce «metastabilità». Si tratta di un concetto, presente anche in maniera marginale nell’opera sulla tecnica, che mira a ridefinire l’individuo non come una monade perfettamente chiusa in se stessa, ma come una forma che si costituisce solo a partire da un’originaria apertura nei confronti dell’altro e che può in ogni momento ridefinirsi a partire da un nuovo punto di stabilità. È il concetto più conosciuto e sfruttato di Simondon (si pensi a Deleuze) e proprio per questo è importante poter tornare oggi all’originale attraverso la monografia di Carozzini.
Un’ultima notazione. Lo stile di Carozzini non aiuta sempre la lettura. Non parlo solo dello stile di scrittura, che è criticabile solo entro certi limiti, perché risponde a criteri di gusto o ad esigenze tecniche. Carrozzini interrompe spesso la trattazione per inserire esempi o veri e propri excursus, spesso lontani dalla materia trattata. La comprensione risulta così più difficile. Si sarebbe voluto un taglio più deciso per il libro, che avrebbe anche contraddistinto in maniera precisa il profilo di uno studioso giovane come Carrozzini. Carrozzini stesso lamenta nel libro la mancanza di una biografia intellettuale di Simondon: mi sento di riprendere questa affermazione e di rivolgergli invito a scrivere una, definitiva, monografia su Gilbert Simondon.

PUBBLICATO IL : 04-11-2007
@ SCRIVI A Dario Cecchi
 

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