Il pensiero di Walter Benjamin mi sembra un caposaldo teorico imprescindibile per riflettere su quello che è considerato “il problema cruciale” del momento: come trasmettere la memoria della Shoah alle nuove generazioni. I testimoni diretti stanno infatti inesorabilmente scomparendo, si ripete continuamente quasi a macabro memento mori; appare quindi un dovere urgente e imprescindibile trovare soluzioni o testimoni sostitutivi al vuoto che si verrà a creare.
Benjamin non solo ci ricorda in generale che “in ogni epoca”, quindi anche nell’attuale era delle Giornate della memoria e del “passaggio del testimone” è necessario “strappare” sempre di nuovo “la trasmissione del passato” “al conformismo che è sul punto di soggiogarla”. Ci aiuta anche, più nello specifico, a smascherare alcuni rischi, per la memoria della Shoah e la sua trasmissione, interni al modo in cui tali questioni sono tendenzialmente formulate.
Quello che innegabilmente – almeno in Occidente - costituisce il fondamentale traguardo di un lungo e travagliato percorso storico, la memoria della Shoah istituzionalizzata e riconosciuta pubblicamente come responsabilità che riguarda la società nel suo complesso, rischia però di svuotarsi di contenuto e trasformarsi in un imperativo categorico astratto e moralistico. Le esortazioni di Primo Levi, “Ricordare perché non accada mai più”, estrapolate dalle ben più articolate riflessioni dello scrittore-superstite, tendono a diventare slogan e la memoria è celebrata come valore in sé, in modo quasi propiziatorio, con il rischio di stabilire un rapporto deterministico tra memoria del passato e salvezza del futuro e, viceversa, tra oblio e sanzione a rivivere il ritorno del male...
Nota: il presente articolo è la traduzione in italiano di un testo in inglese che verrà pubblicato negli Atti del Convegno “Nostalgia For A Redeemed Future: Critical Theory Today” (John Cabot University, April 27-29, 2007).
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