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Jean-Luc Marion, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione.
Società Editrice Internazionale, 2001

di Paolo Zordan

Dato che si inserisce, come testo centrale, in un trittico fenomenologico inaugurato nel 1989 da Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénomenologie e completato da De surcroît. Études sur les phénomenès saturés (2001). Come spiega l’Autore stesso, l’inaspettato interesse suscitato da Réduction et donation lo spinse ad approfondire teoreticamente le tesi che in quello studio erano state guadagnate come risultato di una ricerca storica, impresa che costò dieci anni di sforzi supplementari. In particolare la formula “tanta riduzione, quanta donazione”, apriva potenzialmente il campo a quella “fenomenologia profondamente rinnovata” esposta in Dato che.Come sintetizzare i punti fondamentali di questa proposta filosofica?
Marion riprende in Dato che la critica alla metafisica onto-teo-logica (e all’ontologia heideggeriana, che pretende di esserne il superamento) iniziata in Dio senza essere (1982). Quel testo tuttavia, come egli dichiara, mancava ancora di una pars costruens filosofica adeguata e doveva fare largo ricorso ad argomenti desunti dalla teologia. Étant donné continua quella critica (sin dal titolo, dove l’étant-essendo va letto come ausiliare del donné-dato) cercando di colmare, al contempo, la lacuna metodologica.
Il cuore della proposta filosofica di Étant donné, esposto nel Libro I, consiste nel ripensare la datità (Gegebenheit) della fenomenologia come donazione (donation). Certo Marion sfrutta la polisemia dei termini francesi donner e donation, che stanno per i tedeschi geben e Gegebenheit e fanno riferimento alle aree semantiche sia del “dare” che del “donare”, ma sottolinea come si tratti di una ambivalenza presente nel tedesco stesso e rivelatrice di una dinamica profonda. Ridurre il fenomeno all’immanenza significa, per Marion, ridurlo alla Gegebenheit, cioè alla donazione. Per le fenomenologie husserliana e heideggeriana la donazione costituisce ancora un impensato, dal momento che esse interpretano il fenomeno rispettivamente a partire dalla categoria di oggetto o dall’orizzonte dell’essere.
La donazione indica una correlazione essenziale nel fenomeno, quella tra l’apparire e la cosa che appare. Questa correlazione è implicata nel darsi stesso del dato: per darsi il dato richiede un sé, un’ipseità costituita da uno scarto ed un movimento interni, una piega che è costituita precisamente dalla donazione. La donazione come tale, pur producendo il dato ed iscrivendosi irrimediabilmente in esso, «non sussiste, né persiste, né si mostra né si fa vedere. Essa fa, ma fa l’evento senza farsi, a sua volta, evento» (§ 5, p. 73). Essa, infatti, non può essere intesa sul modello della sostanza, poiché è piuttosto azione, che si consegna nel suo dato, scomparendo in esso. Il dato consegnato dalla donazione, dunque, si rivela un donato, un dono.
Nel Libro II, che è dedicato all’analisi del dono (donné, dato/dono), Marion mostra come questo debba essere sottoposto ad una triplice riduzione e, fondamentalmente, inteso a partire dalla donazione, se non vogliamo che scompaia e venga riassorbito nel sistema economico dello scambio. La riduzione deve riguardare sia il donatario (se il donatario non rimanesse anonimo o non fosse il nemico e l’ingrato, la donazione non potrebbe compiersi, poiché il donatario se ne riterrebbe causa e non potrebbe sfuggire, d’altra parte, all’obbligo della reciprocità), sia il donatore (il donatore deve scomparire agli altri ed a se stesso per sottrarsi alla simmetria economica della ricompensa e dell’autogratificazione) come anche, infine, il dono (il dono si compie meglio quando non si reifica in alcun oggetto e non scade in un semplice cambio di proprietà). Così il dono, ridotto a pura immanenza, si mostra a partire donazione.
Nei Libri III e IV Marion si ferma a considerare, rispettivamente, le determinazioni del dato ed i suoi gradi, a partire dalla prospettiva delineata nelle sezioni precedenti. Rispetto ai gradi del dato, di particolare interesse è l’analisi dei fenomeni saturi, nei quali l’intuizione dona più di quanto l’intenzione del soggetto possa scorgere e prevedere. Così, prendendo a riferimento le categorie kantiane, che strutturano ed insieme limitano la rappresentazione del soggetto, Marion mostra come il fenomeno saturo le violi tutte per eccesso e si costituisca come un paradosso: «Né ponderabile secondo la quantità né sopportabile secondo la qualità, assoluto secondo la relazione, cioè incondizionato quanto al suo orizzonte […], il fenomeno saturo si dice infine inguardabile secondo la modalità» (§ 22, p. 261).
Nel Libro V, infine, il soggetto stesso della fenomenologia viene ripensato, a partire dalla donazione, come adonato (adonné). Marion mette inizialmente in luce le aporie legate alla concezione trascendentale della soggettività (l’impossibilità di individuazione, da un lato, affetta l’“io penso” che si vuole scevro da ogni determinazione, mentre l’inevitabile solipsismo, dall’altro, impedisce di render conto della finitezza del soggetto) ed a quella empirica, che si riconducono infine all’unica aporia di pensare il soggetto a partire dai modi di manifestazione dell’oggettualità. Pensare il soggetto, invece, a partire dalla donazione e dalla chiamata (il fenomeno saturo, in particolare, eccedendo l’intuizione inverte l’intenzionalità e rende possibile la chiamata) vuol dire pensarlo “altrimenti” come adonato, «ciò che riceve se stesso interamente a partire da ciò che riceve» (§ 26, p. 327). Come la donazione appare unicamente nella piega del dato, la chiamata senza nome non mostra se stessa se non nell’inevitabile scarto e ritardo della risposta: «Così si stabilisce la determinazione esenziale della chiamata – essa si intende solo nella risposta e a sua misura» (§ 28, p. 351).
Attraverso una scrittura estremamente precisa ma, al contempo, suggestiva e densa di rimandi, Marion ci presenta una rielaborazione matura e coraggiosa della fenomenologia. Dato che ci sembra un testo interessante, oltre che per i risultati raggiunti, anche per le prospettive aperte e per gli sviluppi possibili a partire dalle premesse che vi sono gettate (l’Autore stesso auspica, nell’ultimo paragrafo, un esplorazione del tema dell’intersoggettività come interdonazione).
Numerose appaiono anche, tuttavia, le questioni irrisolte o impensate del testo. Una su tutte: il problema dei rapporti «essenziali per l’avvenire e allo stesso tempo mal chiariti in passato» tra filosofia e teologia (cfr. p. XII), sul quale l’Autore stesso «spera […] di apportare una chiarificazione» (ibidem), nonostante dichiari, con un’oscillazione significativa, di «non essere neppure in grado di porre la questione del rapporto tra la fenomenologia ed il fatto della Rivelazione» (cfr. p. XLII). Molte movenze del pensiero di Marion, del resto, ci sembrano difficilmente compatibili con le esigenze della teologia, in primo luogo la riduzione stessa (non è lecito mettere in parentesi l’esistenza dell’“oggetto” della religione e ragionare su pure possibilità: il fatto che un’esperienza religiosa sia autentica o allucinatoria potrà essere poco rilevante dal punto di vista dell’analisi fenomenologica, ma rimane una questione determinante per la vita spirituale). Ma se la riduzione è il cuore della fenomenologia della donazione, con lei sta o cade la proposta filosofica di Marion e, in generale, il tentativo di una fenomenologia della religione.

PUBBLICATO IL : 24-06-2005
@ SCRIVI A Paolo Zordan
 

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