La rilevanza storico-speculativa della nuova lettura dell’immaginazione viene sottolineata dallo stesso Kant in un momento centrale della prima edizione della Critica, cioè la Deduzione trascendentale, quasi a sigillo della radicale re-impostazione che si stava compiendo:
“che l’immaginazione costituisca un ingrediente necessario della percezione stessa, non vi aveva posto mente finora alcun psicologo. Il che deriva sia dal sconfinamento di questa facoltà nel campo delle riproduzioni, sia dalla convinzione che i sensi non soltanto ci forniscano le impressioni, ma anche le congiungano, dando luogo alle immagini degli oggetti, ma anche le congiungano, dando luogo alle immagini degli oggetti; al qual fine, in verità, si richiede l’intervento di qualcos’altro oltre la recettività delle impressioni e precisamente una funzione per la loro sintesi”.
In questo senso la lettura heideggeriana del problema kantiano dell’immaginazione può risultare ancora utile, perché proprio il Kantbuch heideggeriano, istituendo un eloquente parallelismo tra la posizione kantiana e quella aristotelica, consente di valutare i termini entro cui compiere la ricongnizione storica del problema dell’immaginazione e non, come Heidegger, nei termini di una ri-considerazione problematica del concetto e delle strutture cogitative della metafisica.
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Nota: il presente articolo è la seconda parte di un saggio, articolato in tre articoli, che intende interpretare il ruolo dell’immaginazione nella costituzione di un’antropologia trascendentale che pensi l’uomo come agente e vivente nella storia. L’esito (o uno degli esiti più importanti) della definizione di un’antropologia critico-trascendentale è proprio quello di dischiudere al soggetto un orizzonte storico (cosmopolitico), in cui deve e non può non agire. Questa dimensione essenziale della soggettività si radica nelle sue possibilità/potenzialità [Fähigkeiten] giudicative, incontrando perciò necessariamente l’immaginazione come condizione sensibile del giudizio. La relazione tra immaginazione – come appartenente alla facoltà di giudizio – e la possibilità, da parte del soggetto, di pensarsi in un orizzonte storico, è allora molto più essenziale di quanto prima facie non appaia.
Per dipanare il groviglio di problemi inerenti al tema dell’immaginazione, al fine cioè di separare il tema specificamente kantiano da interpretazioni spesso fuorvianti, sebbene fondamentali, verranno innanzitutto presi in considerazione l’interpretazione heideggeriana ed il seminario di Davos, in cui questa si scontra con quella cassireriana. Sarà la posizione di Cassirer a suggerire – pur senza esaurirlo – l’orientamento interpretativo di una funzione anche “storica” dell’immaginazione e della Urteilskraft nel pensiero kantiano. In un secondo momento si fornirà un’esposizione dell’evoluzione storica del problema dell’immaginazione, al fine di comprendere la distanza antropologica della teoria kantiana dell’immaginazione dalla tradizione metafisica precedente. Nell’ultimo articolo, si cercherà di delineare in che senso la svolta kantiana nella lettura dell’immaginazione (e della soggettività) precluda al concepimento del rapporto tra soggettività e storia, come “agire nell’orizzonte della storia”.
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