Non esiste, dopo e oltre la fenomenologia husserliana, un modo di affrontare la questione dell’ontologia (ossia la questione di che cosa siano in senso formale le cose, materiali, ideali, affettive, e la questione connessa di come siano attingibili con la conoscenza) che non finisca per coincidere con la ripresa dell’argomentazione fenomenologica husserliana stessa. Non si vuol dire con ciò che non si dia una trattazione possibile della questione senza ripercorre la via husserliana dalle sue premesse al suo esito collocabile all’incirca tra le lezioni sul tempo del 1905 e le lezioni sull’Idea della fenomenologia, del 1907. Si vuol dire piuttosto che ogni tentativo di riformulare il problema senza mettere in questione radicalmente la fenomenologia husserliana non può prescindere dal modo husserliano di formularlo, che non è sua volta cosa diversa dall’indicazione della necessità di non prescinderne. Se, per essere espliciti, si è convinti che non si possa retrocedere rispetto alla tesi dell’Idea della fenomenologia, secondo cui il mettere in luce i diversi modi di datità o di presenza autentica corrisponde a mettere in luce la costituzione dei diversi modi d’oggetto, si dovrà considerare quest’ultimo il sentiero non obliabile lungo il quale la questione dell’ontologia può essere riproposta. Ciò accade perché nulla meno che un’evidenza fenomenologica si offre a chi veda, con Husserl, che la conoscenza delle cose, e dunque la determinazione del loro strato ontologico come corrispettivo della loro afferrabilità gnoseologica, perde la propria misteriosità e diventa accessibile allo “sguardo” che ne rivela l’assolutezza , ossia la verità, solo a patto che si sia in grado di radicalizzare il problema della conoscenza della trascendenza (delle cose, degli oggetti). Ossia, solo a patto che l’opzione trascendentale che consegue dalla radicalizzazione irrisolta del problema si imponga esattamente come via di accesso veritativa alle cose stesse.
Si dirà , in questo senso, non solo e non tanto che la fenomenologia è la via d’accesso all’ontologia, ma assai più decisamente che la fenomenologia è la sola ontologia possibile, almeno tanto quanto l’ontologia senza fenomenologia si libra nel vuoto non fondato di una statuizione metafisica, di tipo empiristico o idealistico. E’ da qui, ribadiamo, che si deve di nuovo passare, provando , se si riesce a farlo, a mettere in crisi la nozione husserliana dell’originario darsi degli oggetti o delle cose nello sguardo assoluto che li costituisce. Che l’operazione sia fattibile – è questo che si vuol dire – deve essere provato dalla sua eventuale riuscita, piuttosto che dall’esibizione di un gusto filosofico eventualmente più blasonato in senso realistico o ontologico rispetto a quello che si attribuisce ad Husserl. Che lo si voglia o no, infatti, in Husserl si declina una versione del filosofare come rispetto della necessità della cosa stessa, il quale ricava dal proprio sottrarsi ad ogni forma di pura deduttività teoretica, un incremento e non una diminuzione della propria forza speculativa. Si vorrebbe solo aggiungere, prima di indicare le tappe e i testi di questo saggio, che i tempi della filosofia, non estranei ai tempi delle vicende della cultura e dei suoi orientamenti di fondo, cioè di quelle che verrebbe da definire “visioni del mondo”, sollecitano oggi almeno il tentativo di approfondimento, e forse anche di rigorizzione e di chiarificazione del senso dell’interesse per le ontologie che Husserl avrebbe definito “regionali”, ossia per le varie classi di oggetti, presente nelle ricerche che si affacciano ormai insistentemente sulla scena pubblica della filosofia...
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